I nuovi invisibili lavorano accanto a noi. La signora che salutiamo con un cenno in ufficio, con cui scambiamo due parole appena a scuola. Questa campagna elettorale sta diventando un viaggio in una città dimenticata: ultima tappa, le case occupate di via Erminio Spalla. Spalla era un campione di pugilato di bell'aspetto e fotogenico, finì al cinema, più di cinquanta film. In “Miracolo a Milano” di Zavattini-De Sica era un barbone di periferia. Adesso nella “sua” strada, in un palazzo tutto di vetro dove si soffoca d'estate e si trema d'inverno, abitano cento famiglie che non sanno dove altro andare. Quattrocento persone. Diversi bambini sono nati qui: Federico che ha venti mesi, bello da cartolina, è il primo ad aver visto il mondo qui dentro. Il capostipite. Come gli altri, è avvolto in una copertina.
Scherzano le donne mostrando il pancione: “E' che fa freddo qui dentro, è buio”.
E' buio, perché la luce non c'è . L'Acea vuole un'autorizzazione, la proprietà non ci pensa proprio, la protezione civile comunale parla di “allaccio umanitario”, ma manca sempre qualche firma e si va avanti così. Non ci sono stufette elettriche. Non ci sono condizionatori. Un generatore che puzza di nafta e dà noia ai vicini per il rumore permette di avere qualche ora di corrente elettrica: mai prima delle 14, mai di notte. Per la lavatrice si fanno i turni, sennò salta tutto. Anche per il frigorifero: un bel problema per il latte dei bimbi, per le medicine degli anziani. Dove siamo? Roma, quartiere Garbatella.
Storie tutte diverse e tutte uguali. Non ce l'hanno più fatta con l'affitto. Sfrattati senza un posto dove andare. Giovani coppie. Anziane signore. Famiglie di immigrati. Aspettano una casa dal Comune, che non arriva. Non è che qui la vita sia a costo zero: solo per la nafta del generatore spendono tra 3.500 e 5mila euro al mese, ognuno mette una quota. E poi hanno dovuto spendere soldi e lavoro per recuperare un po' di dignità sotto questo tetto.
Il palazzo dove stanno è di un “furbetto del quartierino”, il gruppo Statuto. Era sotto sequestro da dieci anni quando sono entrati, nel maggio del 2008. Dentro, neppure i tramezzi. Gli ultimi piani sfondati, trasformati in paludi, con le rane. Nei piani bassi i topi. Raccontano che hanno derattizzato. Aggiustato. Tirato su tramezzi. Diviso in metri quadri, proporzionali ai nuclei familiari: 30 metri ai single, di più via via che la famiglia cresce. All'inizio nel quartiere hanno anche protestato, denunciato l'occupazione.
Aspettano una casa con un affitto buono per le loro tasche, c'è chi ha già raggiunto i fatidici “dieci punti” ma è ancora qui, un pellegrinaggio continuo a controllare le graduatorie... e intanto hanno bisogno della luce. Non si fa nulla senza la corrente: niente phon per asciugarsi i capelli. Niente acqua calda per lavarsi. Niente aerosol per l'asma... Me lo racconta una signora offrendomi una fetta di dolce, scherziamo un po' sulle calorie, i bambini si avventano sui biscotti.
Gli uomini si sono arrampicati sul ponteggio della ristrutturazione della chiesa di piazza Madonna di Loreto, un paio di mesi fa, quando il freddo era più freddo, perché finalmente qualcuno li chiamasse a un “tavolo”: comune, protezione civile, Acea, prefettura. Ma siamo sempre lì: assicurazioni, interventi umanitari, ma non si è visto niente.
Loro, chi sono? Quelli che incontro – una quarantina - sono gente di tutti i giorni, invisibili col loro dramma: “A sgombrarmi sono arrivati i miei colleghi. Io lavoro proprio in quegli uffici; quando mi hanno vista hanno detto: tu?... Io....”.
mercoledì 17 marzo 2010
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2 commenti:
E questa è la mia città, nel 2010... Che dolore.
C'è una battuta fulminate nel film di Ozpetek, a proposito della difficoltà di essere accettato come gay in famiglia. Più o meno è così: "Ma come, siamo nel 2010!" "Appunto, non è mica più il 2000".
Io credo che, consapevole o no, in due parole Ozpetek racconti il mondo.
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