A Roma siamo in piazza. Ha rischiato di essere la campagna elettorale più lunga della storia (indiscrezioni, giovedì scorso, persino sulla voglia di far scivolare le elezioni all'11 maggio, ricominciando tutto daccapo); sta diventando la più breve. Altro che mercati e volantini: piazza e bandiere!
Aveva preso il verso giusto la “mia” campagna elettorale, come volevo io: da giornalista. Ascoltare, ascoltare, ascoltare. Avrò anche mangiato pane e politica tutta la vita, ma sono sempre stata dall'altra parte del muro: i giornalisti devono essere i cani da guardia del potere. Anche se ero all'Unità, anche se lavoravo fianco a fianco ai politici (prosaicamente: una scassapalle).
Sono partita “facile”, dalle cose che conosco: full immersion nel mondo del cinema. Nel Lazio è un'industria preminente, duecentomila addetti, nessuna tutela, quando finisce una produzione tutti a casa. Telecineoperatori, segretarie di produzione, attori. Con la crisi conosco troppi, bravi, che non ce la fanno. Per questo nel programma alla voce cultura ho appuntato “ammortizzatori sociali”, come li hanno in Francia.

Oggi è l'8 marzo. Nel mio programma ho scritto: politiche a favore del lavoro e delle carriere. Sono già stata a qualche incontro. Convegni. Donne in gamba. Di uomini, quelli che il potere lo devono mollare, manco l'ombra.
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