mercoledì 26 maggio 2010

Minzolini si supera: censurato pure Cannavaro

Stavolta Minzolini ha proprio esagerato. Un fallaccio contro la Nazionale di calcio: è riuscito a censurare anche Cannavaro. Il “bisticcio” su Mills, quello per cui la “prescrizione” è stata – ops - scambiata con una assoluzione, ormai è acqua passata e mobilita solo il popolo della Valigia Blu. La cacciata di Tiziana Ferrario dal video ha avuto l'onda lunga, ne hanno parlato anche i giornali popolari, perché la Ferrario è un personaggio popolare, ma ormai – come il direttorissimo sapeva – anche quest'acqua è scivolata sotto i ponti. L'addio della Busi è stato anche più clamoroso: è un'icona della tv, amatissima, la faccia (dolce) del Tg1, le sue parole di fuoco hanno roteato sopra i cieli di Saxa Rubra: ma Minzolini per parare il colpo prima ha fatto girar la voce che voleva farla fuori, poi ha buttato in video le “giovani e carine”. L'altra sera “problemi tecnici” hanno impedito di sentire le parole di Elio Germano – quello che non piace a Bondi – premiato a Cannes (“Gli italiani che fanno di tutto nonostante la classe dirigente..."). Tanto per far infuriare un po' di più il mondo del cinema.Ma Cannavaro no! Che è successo? Che il Capitano della nazionale in conferenza stampa se l'è presa con Bossi jr: “Io mi sento italiano al 100% e quando vedo il tricolore, anche in altri sport, mi emoziono. Tanta gente non lo fa e non riesco a capire il perché. Per quanto riguarda il figlio di Bossi, ognuno è libero di fare quello che vuole. Non so se c’entri o meno anche la politica. Io dico solo che all’inno mi emoziono. Renzo Bossi non tifa Italia? Io mi sento italiano al cento per cento, e mi vengono i brividi all’inno: se poi ad altri non riesce, liberi di farlo, ma non so perché”. Ma al Tg1 il riferimento a Bossi jr, detto la trota, non c'era più. Pure Cannavaro imbavagliato...

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martedì 18 maggio 2010

Santoro lascia la Rai: accordo consensuale

La notizia arriva secca come una fucilata: Michele Santoro lascia la Rai. Accordo consensuale.
Nella nota dell'ufficio stampa di viale Mazzini, diramata al termine del Consiglio d'amministrazione, si aggiunge che: “l'accordo consensuale, che deve essere implementato attraverso contratti applicativi che saranno messi a punto nei prossimi giorni, prevede la realizzazione di nuovi progetti editoriali che verranno realizzati da Michele Santoro nei prossimi due anni. Rai continuerà quindi ad avvalersi della collaborazione di Michele Santoro che - conclude la nota - in questo modo, avrà la possibilità di sperimentare nuovi generi televisivi attraverso un ulteriore sviluppo del proprio percorso professionale”.

Un comunicato che dice tutto e dice niente. Ma che accende persino troppi rimandi. Il clima intorno a Santoro è incandescente da anni. La cacciata. I processi. Il ritorno ordinato dal giudice. E poi le censure. Le polemiche sempre. L'allontanamento di Vauro nei giorni del terremoto. Il contratto a Marco Travaglio che non passava la firma. Gli scontri con il dg Mauro Masi. Lo stop elettorale.

Ed è nei giorni del bavaglio elettorale, come talvolta accade nei momenti di massima crisi, che la pressione censoria è esplosa in una notte di inattesa libertà (televisiva): Raiperunanotte, il programma di Santoro realizzato al paldozza di Bologna e trasmesso dalle tv locali, dal satellite, soprattutto da una rete di grandi, piccoli, piccolissimi, improvvisati siti web ne hanno fatto un evento. E forse qualcosa di più: hanno aperto una finestra alternativa alla tv. L'hanno spalancata.
Difficilissimo calcolare gli ascolti, ma non impossibile: ed è così che è stato calcolato uno share del 13%. Clamoroso.

Un'esperienza che non può essere abbandonata a se stessa.

Il freddo comunicato aziendale lascia spazio solo a congetture. Anche Bruno Vespa, per capirci, ha un rapporto di questo tipo... Ma è troppo sperare che l'intento di Santoro e della sua squadra sia di rilanciare quella rete che, dal satellite al web, ha riaperto i giochi sul futuro della tv?

A sentire i boatos di queste settimane, del resto, Santoro è già a caccia di una redazione: si è parlato persino di quella dismessa di Red, piano terra di Palazzo Grazioli, dalle cui finestre si vede l'accesso secondario alla residenza del premier...

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Oscurata Rainews24: il bavaglio continua

Dov'è finita Rainews24? Al suo posto sul telecomando, canale 42 del digitale terrestre, non c'è più! “Oscurata”, denunciano il direttore e la redazione, pronta a denunciare l'azienda per “interruzione di servizio pubblico”.
Che sia solo una “frittata annunciata” per la partenza della digitalizzazione della Lombardia, ci credono in pochi: neppure sul satellite si trova più, sul solito canale 506 del bouquet di Sky c'è il promo di Raisport2! Qualcuno armato di santa pazienza ha ripescato Rainews24 sul decoder digitale al canale 998, proprio in fondo: come i ragazzetti molesti che in classe vengono messi in ultima fila. E per giunta non sembrava più lei, con la patacca del nuovo logo al posto dei flash.

Dopo le mille disavventure della partenza del digitale nel Lazio, nei giorni scorsi si scommetteva su nuovi malumori tra il pubblico, perché già si immaginava che il via a una nuova regione avrebbe scombussolato di nuovo il telecomando: frequenze spostate, con tutto quel che ne consegue. Soprattutto per le persone anziane, che non sanno perder le ore a risintonizzare i canali e devono – per l'ennesima volta – chiamare e pagare un tecnico.

Ma perché Rainews24 (che perde pure il “24” del titolo, per “omologarsi” agli altri canali! Ma quando mai...), la tv che ha mandato in onda “Raiperunanotte” di Santoro, la tv del “Caffè” di Mineo già scalzato dalla trasmissione in chiaro del primo mattino di Raitre, la tv che con un budget largamente insufficiente salva la faccia alla Rai garantendo un'informazione completa, viene scaraventata in fondo al telecomando?

Il direttore Corradino Mineo si scusa con i telespettatori e sul sito di Rainews24 (dove si dà conto delle centinaia di mail di protesta per l'oscuramento), scrive una nota che definire critica è un eufemismo: “Faremo di tutto per comprendere le ragioni di questo oscuramento e porvi rimedio – scrive il direttore -. Rainews informa, inoltre, che da oggi il Canale non si chiama più Rainews24 ma solo Rainews e che, per omologare l'intera offerta aziendale, la Direzione Generale ha deciso di spostare il logo in alto a destra dello schermo. Il logo, purtroppo, risulta poco leggibile, mentre la nuova grafica impedisce, per il momento, di mandare in onda i flash, strumento indispensabile per una all news. Anche di questo ci scusiamo con gli utenti".
À la guerre comme à la guerre.

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lunedì 17 maggio 2010

W Garibaldi

Nell'elenco dei Mille non c'è, ma mia nonna Virginia, detta Emilia, raccontava che quel 7 maggio del 1860 a Talamone c'era anche il mio bisnonno: Lorenzini da Piombino. Poco più che un bambino. Era scappato da casa per raggiungere Garibaldi e imbarcarsi con lui. La storia narra che Garibaldi e i suoi Mille a Talamone sostarono qualche giorno perché i rifornimenti, armi e vettovaglie, non erano pronti. E' così che la trisavola ebbe tempo di raggiungerli e di scongiurare Garibaldi che facesse tornare a casa quel discolo, ma il Generale – narra la leggenda familiare – le rispose che il piccolo eroe aveva stoffa da grande e avrebbe dovuto decidere da solo. E il bisnonno partì... Si narrava in famiglia di una lettera, firmata da Garibaldi, in cui rassicurava la mia ava sul figlio: lettera perduta, affidata a una prozia che, in vecchiaia, l'avrebbe donata a un parroco piemontese collezionista di autografi. Chissà: magari prima o poi salta fuori.

sabato 15 maggio 2010

Le mani sulla free press: Dnews licenzia i fratelli Cipriani

Le mani sulla free press. Licenziati in tronco i direttori di “DNews”, quotidiano con redazioni a Roma, Milano, Bergamo e Verona. Eppure l'hanno fondato loro, Antonio e Gianni Cipriani.

“Giusta causa”, secondo l'editore Mario Farina. Accusati, secondo i rumors, di non aver più firmato editoriali da troppo tempo... Sospettati, secondo altri, di aver troppe poche cautele nei confronti del potere costituito, Alemanno, Polverini, Moratti, Formigoni e, soprattutto, Berlusconi... L'ultimo numero con la loro firma, distribuito venerdì 14 maggio, titola in prima pagina nell'edizione di Roma: “La sanità ci costerà nuove tasse”. E, nell'edizione di Milano: “Prove di rivolta al Triboniano”. Come dire: una redazione a caccia di notizie e con in più un gruppo di editorialisti che non vuole mordacchie, da Ennio Remondino a Mario Morcellini, da Ritanna Armeni a Massimo Bordin. Mix evidentemente indigesto per chi più che alla libertà di stampa punta al marketing.

I Cipriani sono recidivi. Nel 2004 avevano inventato E-Polis, e tre anni dopo se ne erano andati con l'arrivo di Marcello Dell'Utri nella compagine societaria (e con loro lasciarono il giornale quaranta editorialisti). Nel 2008 hanno fondato Dnews, mezzo milione di copie. Gli unici due esempi italiani di quella che si chiama “free press di terza generazione”: distribuita gratuitamente e pagata dalla pubblicità, ma anziché puntare su notizie sincopate, per un pubblico che per leggere ha il tempo di poche fermate di metropolitana, si presenta come un giornale tradizionale, per una lettura più approfondita, riflessiva.

E' andata a finire che il pubblico ormai riconosceva E-polis del nuovo corso come giornale filo-governativo e Dnews decisamente libero e democratico. Adesso, probabilmente, si assomiglieranno di più: l'editore avrebbe già annunciato per la Dnews post-Cipriani una direzione moderata...

Perché il bavaglio non è solo alle tv.

P.S. Sono una dei 40 editorialisti che hanno lasciato E-polis insieme ai Cipriani. A DNews siamo assai meno, da quando l'editore ha imposto un drastico taglio di foliazione (e sacrifici alla redazione): e adesso ci risiamo... Solidarietà ad Antonio e Gianni, e a tutti i colleghi di DNews.

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martedì 11 maggio 2010

La scommessa

Il crac che arriva dalla Grecia fa tremare l’Europa. E il mondo. Che un debito è un debito, questo lo sanno tutti: e il debito della Grecia, strabordante e nascosto, è lo scandalo che affonda l’Ellade. Ma quando la crisi economica dilaga ci si perde in una misteriosa selva di sigle, nella babele delle parole, tra “società di rating”, Stati promossi o declassati a “doppia A”, a “tripla A” con o senza “+”, per non parlare degli Hedge found, dei Credit default swaps. E’ la finanza, bellezza! (per parodiare la frase di “Quarto potere”).

Ora che siamo a una stretta, che le preoccupazioni per la tenuta dell’Europa dell’Euro coinvolgono anche mr.Obama, che da questa crisi non guadagna né la Cina né gli Usa, i “misteri” della finanza improvvisamente si svelano e anche gli specialisti abbandonano il linguaggio da iniziati (da club riservato, da setta): nella tempesta economica che sconvolge il mondo, spiegano, qualcuno ci guadagna. Gli “speculatori”: ovvero, più semplicemente, chi ci “scommette” sopra.
Una scommessa. Come indovinare il risultato di una partita al Totocalcio.

Persino il Sole24ore, che non manca mai sul tavolo dei manager, dichiara: “Esattamente come nella sala scommesse: si punta sulla vittoria o sulla sconfitta di una squadra” (articolo di Stefano Elli, edizione di domenica 9 maggio). A scommettere sul “rialzo” o sul “ribasso” delle valute sono gli investitori: unica regola, guadagnare. A costo di mandare a gambe all’aria l’economia di un Paese, di un Continente.

Ci voleva una nuova tempesta economica perché i “misteri della finanza” si rivelassero per quel che sono, una smisurata, globalizzata, sala scommesse, che inghiotte denaro a scapito della cosiddetta “economia reale”. Le aziende investono in “finanza” anziché reinvestire in fabbrica. Gli scommettitori si ritrovano a Wall Street anziché nei bar di periferia, ma il gioco è sempre quello: solo che anziché gli spiccioli volano i capitali.

Ostaggi delle scommesse. E’ nata una economia parallela, fatta di esperti di ogni ordine e grado che si specializzano in questo o quel tipo di investimento, area Euro, Pacifico, Nord Atlantico, Asiatica… Posti di lavoro. E’ stato il cinema, per primo, a metterli nel mirino, yuppies degli anni Ottanta, giovani con la carriera in Borsa. Non è bastato il tornado dei mutui americani, la grande crisi che ha fatto tremare da Tokyio e Wall Street: la speculazione non ha un codice etico, in meno di due anni è tornata padrona.

Ora, che alle cose si torna a dare un nome, che i debiti sono debiti e le scommesse sono scommesse, i Governi si interrogano se non sia troppo tardi per riprendere in mano le redini dell’Economia. E’ per questo che gli aiuti alla Grecia, in questo momento, sono non soltanto una necessità per l’Europa, ma anche un banco di prova. Un braccio di ferro con la speculazione.

(da www.radioarticolo1.it)

domenica 9 maggio 2010

Lo sbarco dei nuovi garibaldini per salvare l'Italia

Lo sbarco. Come quello dei Mille. Ma stavolta ad approdare a Genova, la sera del 26 di giugno, dopo una notte e un giorno di viaggio in mare, saranno un gruppo di italiani all’estero (che s’annuncia folto), imbarcati a Barcellona per raggiunger le natie sponde. Imbarcati su una nave di linea, centocinquantanni dopo la traversata di Garibaldi, per protestare contro “l’arroganza, la prepotenza, la repressione, il malaffare, il maschilismo, la diffusa cultura mafiosa, la mancanza di risposte per il mondo del lavoro, sempre più subalterno e sempre più precario” che strangola l’Italia. Sono mesi che stanno preparando l’impresa: tutto è nato da un gruppo di italiani a Barcellona che qualcosa volevano fare (“seriamente preoccupati per ciò che avviene in Italia”), e dilagata con il passa-parola: ora ci sono gruppi organizzati a Bruxelles, a Parigi, anche ad Atene, e gente che aderisce dalle lontane Galapagos come da Cagliari, o Roma, o Milano, per preparare al loro arrivo a Genova (domenica 27 giugno) una giornata di iniziative e spettacoli e manifestazioni, che si concluderà la sera con un concerto al Porto Vecchio.Hanno scritto un “manifesto” i nostri italiani all’estero, che vanno leggendo per sagre e paesi, in giro per l’Europa: persino dal sagrato della chiesa a Sant Just, per la festa di Sant Jordi… Utilizzano Facebook per condividere le macchine, da Valencia piuttosto che da Bruxelles, che li devono portare a Barcellona dove salpa la “nave dei diritti”. E intanto organizzano rassegne cinematografiche per finanziarsi. Sarà la “nave dei diritti”, che “ricorderà la nostra Costituzione e la sua origine, laica e pluralista, la centralità della libertà e della democrazia vera, partecipata, trasparente: dai luoghi di lavoro alle scuole, ai quartieri, ai servizi, al territorio. Ricorderà che il pianeta che abbiamo è uno, è questo, questo è il nostro mare, di tutti i popoli. Che chiunque ha diritto di esistere, spostarsi, viaggiare, migrare, come ha diritto che la sua terra non sia sfruttata, depredata. Ricorderà che le menzogne immobilizzano, mentre la verità è rivoluzionaria.Ricorderà che cultura e arte sono i punti più alti del genere umano, sono fonte di gioia e piacere per chi li produce e per chi ne beneficia, non sono fatte per il mercato.Ricorderà che esistere può voler dire resistere, difendere la propria e l’altrui dignità, conservare la lucidità, il senso critico e la capacità di giudizio” (dal “manifesto” de “Lo sbarco”, www.losbarco.org).Insomma: arrivano i nostri! E non stupiamoci troppo se su internet ha aperto una pagina anche “la prima ONG africana che porta aiuti umanitari all'Italia”, “Poveri voi”, il cui scopo dichiarato è “trovare una soluzione al disagio sociale diffuso tra i giovani italiani, che sta portando l'interno popolo del paese a una progressiva e drammatica disumanizzazione”. E il presidente e fondatore, Ronald Samako, per “ridare al triste popolo italiano un sorriso per il futuro”, propone anche adozioni a distanza.
(da www.globalist.it)

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Contro il bavaglio (anche) ai blog

sabato 8 maggio 2010

Cancellato il "caffè" di Mineo: se non è l'ennesima epurazione...

Su Raitre al mattino non si prende più il caffè con Corradino Mineo. Dallo scorso 3 maggio al suo posto va in onda una rassegna stampa che tiene d'occhio le testate “minori”, quelle regionali, curata appunto dalle redazioni dei tg regionali. Non è un granché. “Il caffè” di Mineo, con le sue interviste che spesso dettavano l'agenda della giornata, era un piccolo “affaccio” sulle reti generaliste della rete all-news della Rai, Rainews 24, che altrimenti – per chi ce l'ha - si vede sul satellite o – per chi ce l'ha – sul digitale terrestre. Una sinergia, come si suol dire. Ma per tutti quelli che mentre guardano la tv non stanno tanto a cavillare su chi dirige cosa, era più semplicemente il primo appuntamento del mattino. La concorrenza al salotto politico di Omnibus (il fortunato “mattinale” di La7) o all'informazione popolare di “Uno mattina”. Diciamola tutta: il primo mattino è uno dei momenti più vivaci della giornata televisiva, buon giornalismo e ascolti di tutto rispetto...Ora, che è successo? Normale assestamento dei palinsesti tv? Ma che normalità c'è a cancellare una trasmissione di successo? Anzi, non a “cancellarla”, ma a riservarla ai fortunati telemaniaci che si costruiscono la giornata tv saltellando tra i canali specializzati del satellite e del digitale, e le vecchie reti generaliste. Ora su Facebook è spuntato un gruppo che si chiama “No alla cancellazione da Raitre della trasmissione di Corradino Mineo Il Caffè”: perché sono parecchi quelli a cui questa “novità” non convince. Questione delicata. Epurazione?Il fatto è che se si è costretti ad abusare di termini gravissimi come “epurazione” o “liste di proscrizione”, va a finire che si crea una nuova paradossale “normalità”, e che gli allontanamenti e gli oscuramenti non suscitino più emozione e reazione: ma come definire altrimenti il fatto che le interviste di Mineo ora non sono più su Raitre? Ormai l'elenco degli “assenti” e dei penalizzati si allunga. Dai conduttori del Tg1 (e, come era nelle cose, del “caso Ferrario & C.” non si parla più), alle trasmissioni per bambini di Raitre (il “Fantabosco & C.”), persino Neri Marcorè con “Un pugno di libri”. Non stiamo parlando di censure, stiamo raccontando una tv che si svuota. Miracoli del palinsesto. Miracoli di una programmazione che non si decide più anno su anno, ma spezzettata nelle stagioni, “cotta e mangiata”: il che non significa affatto maggiore dinamismo, significa semmai che non è garantita la prossima stagione di “Report”, che non si ha certezza del ritorno di programmi come quello di Riccardo Iacona.Banale ottimizzazione aziendale: non c'è forse il digitale terrestre, refugium peccatorum per tutti i “diversamente scomodi” nell'Italia che scivola sempre più giù nelle classifiche sulla libertà di stampa? (Secondo “Freedom house” siamo solo “parzialmente liberi”, come il Sudafrica e le Filippine, scivolati al 72esimo posto, dopo Suriname, Trinidad e Tobago)
(da www.globalist.it)

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martedì 4 maggio 2010

La canzone dell'acqua

“…la canzone dell'acqua
è una cosa eterna.

È la linfa profonda
che fa maturare i campi.

È sangue di poeti
che lasciano smarrire
le loro anime nei sentieri
della natura”.


(Federico Garcia Lorca)

Avrebbe mai potuto Garcia Lorca dedicare questa sua poesia, per dire, ad “Acqualatina”, società privata partecipata dalla multinazionale francese Veolia, la stessa che forniva il servizio a Parigi? L’acqua: bene comune. E dall’Agro pontino alla metropoli francese, notizie di questi giorni, il modello di gestione di Veolia non solo è stato bocciato dai cittadini, ma l’acqua è tornata pubblica. Così come in Sicilia… E la gente sta in coda ai banchetti a firmare per i referendum sull’acqua: in pochi giorni il comitato promotore, a cui aderiscono decine e decine di associazioni (e anche la Cgil condivide la battaglia per l’acqua, perché rimanga un bene pubblico essenziale quale diritto universale, e la Fp-Cgil sostiene l’iniziativa referendaria), dichiara d’aver raccolto già un terzo delle firme necessarie.

Il Governo s’indigna. Il ministro Ronchi ripete che anche lui, nel suo decreto, parla di acqua pubblica: “Piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche”. Ma tra i settemila cittadini di Aprilia che rifiutavano di pagare le bollette a Veolia (insieme a quelli che oggi firmano per il referendum) e il ministro, corre un “sottile” distinguo: la distinzione è tra “acqua bene pubblico”, “acqua bene comune”. E si scopre che tra due frasi che sembrano dir quasi la stessa cosa, in realtà c’è un abisso. L’abisso che corre tra una sorgente che sgorga e una multinazionale che la imbottiglia. L’acqua è sempre “pubblica” (e gratis), l’imbottigliamento e il trasporto, ovviamente, no. Anche se a noi sembra di pagare il contenuto, non il contenitore!

Lo stesso vale per le reti idriche.

E’ vero che in Italia la gestione pubblica dell’acqua… fa acqua da troppe parti. Ma la gestione privata (che fin qui ha prodotto solo un aumento delle tariffe) trasforma addirittura in merce un bene che in molte parti del mondo si rivendica invece come bene comune primario: come l’aria che respiriamo. Come la conoscenza.

“Il tema dell’acqua” ha ricordato in questi giorni Stefano Rodotà, “è sempre stato intrecciato con quello del potere: questo referendum si distingue da tutti quelli che l'hanno preceduto perché riguarda l'assetto e la distribuzione del potere in una materia decisiva per la vita delle persone.”

Ripensare il pubblico, non cercare le scorciatoie del privato: è questo che è scritto, una volta ancora, nella nostra Costituzione. E’ l’articolo 43, quello che dice: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. Certo che poi c’è anche chi la vuole smantellare, la nostra Costituzione…

(da www.radioarticolo1.it)


sabato 1 maggio 2010

La verità rivoluzionaria di Fini sul giornalismo

Turn-over di intervistatori nel Corridoio dei passi perduti… E “passi” precari (nel senso di autorizzazioni all’ingresso) per giornalisti precari tra le poltrone del Transatlantico. Ci sono/non ci sono. Fantasmi dell’informazione. In un’aula universitaria il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, rivela l’evidenza negata: nell’editoria – dice - “in molti casi si arriva a forme di sfruttamento che sono presentate come inevitabile flessibilità”. Sfruttamento mascherato da flessibilità. Contratti a termine. Collaborazioni. Popolo delle partite Iva con la sveglia alle 5 del mattino e il cartellino da timbrare. La libertà di stampa senza la libertà della certezza del lavoro, è una libertà che non c’è. Due libertà sotto uno stesso ricatto: scrivo quello che devo, non necessariamente quello che vedo. La verità è rivoluzionaria. Sentirla pronunciata dalla terza carica dello Stato fa uno strano effetto: non passano forse dal suo tavolo le carte che diventano leggi, le leggi che fanno dei precari persone senza diritti e che fanno dei lavoratori dipendenti i nuovi precari? Anche nei giornali, come ovunque. Ma nei giornali non si fabbricano bulloni tutti uguali, di metallo duro: l’informazione è merce avariabile, delicatissima, fragile caposaldo costituzionale. Da trattare con cura. Se chi scrive non è libero, chi legge è meno libero.Fini ha rotto ogni argine. Ora dice le verità nascoste, non solo dentro il Pdl. Ma allora nel corridoio dei passi perduti, a Montecitorio, gli onorevoli in attesa di intervista li vedono bene questi “fantasmi”! I “somministrati” con biro e taccuino aperto, gli “affittati” con i borsoni col computer a tracolla, i “free lance” col telefonino che squilla e il caposervizio che urla…Fini ha anche il tesserino amaranto dei giornalisti, e da giornalista ha parlato del “mestieraccio” agli studenti dell’università dell’Insubria di Varese: “Vi è nella funzione del giornalista un quid di eversivo e rivoluzionario. Un anarchico disciplinato è una contraddizione in termini. E se questa è la stampa non possiamo farci niente”.Il sindacato dei giornalisti da anni è in piazza a denunciare che la flessibilità dei “lavoratori dell’informazione” è uno strumento di controllo dell’informazione. Ma i giornali… non ne parlano. Sono più o meno 15mila i giornalisti che hanno contratti “giusti”, quelli dell’editoria (anche se molti sono a termine); ma sono altrettanti a ingrossare le fila dell’ esercito di collaboratori. Un pareggio dell’ultim’ora che non dice niente di buono. L’elenco dei contratti atipici è lunghissimo: e c’è anche chi per fare il giornalista, col tesserino amaranto, ha firmato contratti da metalmeccanico o del commercio. Un problema di categoria? Un problema costituzionale. Che libertà hanno, i cittadini, di essere correttamente informati, se i giornalisti sono un esercito di flessibili sfruttati? La libertà di stampa, nel nostro Paese, è una corsa a ostacoli. Il Governo interviene sui fondi dell’editoria per i giornali di idee, di partito, in cooperativa, dove taglia sconsideratamente senza dare certezze del diritto ai giornali (e portandoli al collasso perché si chiudono così anche le possibilità di anticipazioni bancarie); interviene sulle agevolazioni sulle tariffe postali, abrogandole (e spezzando la possibilità di diffusione per le testate di nicchia); promuove leggi liberticide, dove per i giornalisti è prevista perfino la galera, come la “legge Alfano” sulle intercettazioni. Minaccia continuamente la libertà del web. E poi c’è il potere economico, che vincola le amministrazioni dei giornali… Un mondo travagliato. Popolato di cocciuti fantasmi.

(da www.globalist.it)
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