lunedì 26 luglio 2010

I numeri parlano

I numeri, quando si leggono, vanno messi tutti in fila: senza perderne nessuno. Perché i numeri sono strani, hanno il vizio di scomporsi e ricomporsi sulle lavagne (avete presente la sigla del telefilm “Numbers”? Un gioco di radici quadrate e cifre allo specchio…). Ma se si acchiappano e costringono nero su bianco, i numeri diventano volti, persone, fatica.

E in questo mese di luglio di numeri ce ne sono tanti che roteano in
censimenti, indagini, relazioni…


Bella cosa, ad esempio, scoprire che l’Istat ha censito che nel 2009 i poveri non sono aumentati. Quanti? Settemilioni e 810mila. Anche le famiglie in “povertà assoluta”, più o meno, sono sempre le stesse: 1.162 mila (il 4,7% delle famiglie residenti). Cinque italiani su cento. Uno ogni venti. Ogni cifra dopo la virgola è qualche persona in più che incrociamo per strada, al mercato, o quando giriamo la testa dall’altra parte se la vediamo rimestare nei cestoni delle verdure scartate.

Qualcosa, però, cambia al Sud: quelli che non hanno i soldi per una vita
minimamente accettabile salgono al 7,7%. Chi sono? L’Istat dice che la povertà assoluta aumenta - soprattutto al Sud - tra le famiglie che vivono con un guadagno operaio, sia il padre, o la madre, o un figlio a portare a casa il reddito. Il rapporto Svimez aggiunge che una famiglia meridionale su 5 non ha i soldi per andare dal medico e una su 5 non si può permettere di pagare il riscaldamento.

L’Ocse è anche più severo: sostiene che i salari italiani sono agli ultimi
posti tra quelli dei paesi avanzati. Va peggio solo in Polonia, in Ungheria, in Grecia…

L’Inail dà invece numeri che dovrebbero suonare come “buone notizie”: sono diminuiti gli incidenti sul lavoro. Del 10%. Sono diminuiti anche i morti sul lavoro: quanti in tutto? 1050. Mille e cinquanta famiglie distrutte.
Una strage.

Ma comunque, avverte l’Inail, 70 in meno rispetto all’anno precedente. E’ dall’inizio della crisi che queste cifre si contraggono: ma non è stato fatto nulla, proprio nulla, sul fronte della sicurezza. La spiegazione è un’altra.

Negli scorsi giorni, infatti, la Cgil ha fornito altre cifre da scrivere sulla
lavagna: quelle sulle cassa integrazione. Nel 2010, finora, i lavoratori in
cassa integrazione sono 660mila. Le decurtazioni del reddito sono pari a 2,4 miliardi di euro. Il tasso di disoccupazione (se si considera anche la Cig) passa dal 9,1% al 12,1%.

Calano gli incidenti? Cala l’occupazione! Si apre, ancora, di nuovo, la
forbice tra Sud e Nord. Si riapre quella tra occupazione femminile e maschile. Quella tra genitori e figli (il Cnel, nel suo “Rapporto sul lavoro 2009-2020”, dice che trovare una occupazione, per chi a meno di 25 anni, è tre volte più difficile rispetto ad altre fasce di età).

Ancora l’Inail racconta che aumentano le malattie professionali: si impennano quelle dell’apparato muscolo-scheletrico. Sono le malattie della fatica. Fisica. Nei campi, ma anche davanti al computer (“sindrome del tunnel carpale”). Chi il lavoro ce l’ha, s’ammala di lavoro per non rischiare di perderlo.

C’è una montagna di numeri sulla lavagna. Prima che qualcuno arrivi col
cancellino diamo loro almeno un nome: questi sono i numeri della crisi. I
numeri che non entrano nella manovra economica del Governo ma che raccontano l’Italia nel profondo delle sue incertezze, delle difficoltà che crescono. I numeri veri, che per strada hanno il volto delle persone. Degli amici. Il nostro.

(da www.radioarticolo1.it)


giovedì 8 luglio 2010

aderisco anch'io


9 luglio giornata del silenzio dell'informazione e dei blog

lunedì 5 luglio 2010

C'è poco da smentire

La manovra economica dà il mal di mare. E' sgomentante, ma c'è persino un aspetto farsesco, ridicolo, da commedia comica, nel continuo “avanti tutta - indietro tutta” degli emendamenti al testo di questa Finanziaria bis. Tanto che è persino lecito il dubbio che questa sarabanda di annunci di tagli, seguiti da rapide smentite, alla fine crei uno stato confusionale tale da dar l'impressione che... poteva andare anche peggio.

No: sta già andando “peggio”.

Ultimo in ordine di tempo l'annuncio del taglio delle tredicesime a professori e ricercatori universitari, magistrati, Forze armate, Forze di Polizia, Vigili del Fuoco, personale di carriera prefettizia, personale diplomatico e di carriera dirigenziale penitenziaria (emendamento “pesante”, del relatore Azzollini in commissione Bilancio al Senato, motivato dalla necessità della copertura economica, in caso ci siano da pagare arretrati, straordinari o promozioni). Berlusconi in persona si è affrettato a smentire nei tg, praticamente a reti unificate (“Non toccheremo le tredicesime”), con un uso a dir poco spregiudicato delle televisioni.

Reale l'emendamento, mediatica la smentita.

Peccato che non fossero passate neppure 24 ore da un'altra - come dire? - “gaffe”, che è stata prontamente battezzata “norma-refuso”: di fatto impediva l'andata in pensione dopo 40 anni di lavoro, indipendentemente dall'età anagrafica. Un anno di lavoro in più, un anno di contributi in più, e nessun beneficio nella pensione. Senza parlare delle donne, per le quali il “salto” (nel buio) diventava di sei anni... La questione è stata risolta dichiarando che si trattava di una «stesura tecnica zelante che non corrisponde alla verità».

Chissà com'è, a chi per mestiere scrive, questa spiegazione fa venire in mente una bugia antica: “il refuso del proto”. Risale ai tempi in cui i giornali erano composti a piombo: quando c'era un errore (e una protesta), la colpa veniva immediatamente scaricata sul capo della tipografia - il “proto”, appunto - anche se per lo più era innocente... Nell'era moderna, a quanto pare, a far da parafulmine ci sono i tecnici zelanti.

Ma il mal di mare resta. Tra emendamenti, cavilli, refusi, di quante altre trappole è disseminata questa manovra, in attesa di smentita?

(da www.radioarticolo1.it)


mercoledì 30 giugno 2010

Morire di fatica

Una calda giornata d'estate, il mare, gli ombrelloni, il sole, le creme abbronzanti. E gli ambulanti, mercanzia da pochi euro, vestiti, orologi, ciambelle da mare. Negozi ambulanti lungo il nastro infinito della spiaggia. Borse e borsoni stracarichi di merce, aquiloni trascinati in volo.

Un occhio distratto alla merce. Un no infastidito, non ho soldi, non ora. Capannelli di donne che provano vestiti e cappelli, per passare il tempo, la prossima volta che passa, vedremo. Chilometri di spiagge infinite. E poi, un cuore che crolla. Si strappa. Si ferma.

Sardear Jahangir aveva 33 anni, veniva dal Bangladesh, si è accasciato sulla spiaggia di Jesolo in un giorno di sole, le sue mille mercanzie sono cadute insieme a lui. Morto di fatica. Di fatica, si muore. La comunità del Bangladesh ha fatto una colletta per farlo tornare a casa, almeno ora, perché sia la sua famiglia a dargli l'ultimo saluto.

La notizia è un flash. C'è un'Italia che urge: è quella del lavoro, della manovra, della combattività ritrovata. C'è un'Italia che fa ribollire il sangue, quella degli Scajola, dei Brancher, dei Sepe. Ma la storia di quel giovane caduto sotto il peso della sua mercanzia, morto di fatica tra la gente in vacanza, è un chiodo in testa. Troppo facile e inutile la retorica. Anche i nostri migranti crollavano di fatica nelle miniere, ne morivano. E altri nuovi migranti non ce la fanno nei campi del sud, “spariti”, senza che la notizia arrivi ai giornali.

Sardear non entrerà, temiamo, neppure nelle statistiche dell'Inps sui morti sul lavoro, semplicemente perché non aveva diritti. Morire arrangiandosi a vivere. Abusivo nella vita e nella morte. Una fatica abusiva.


(da www.radioarticolo1.it)

lunedì 21 giugno 2010

Il flop del digitale e la Rai al valium di Masi

Il flop del digitale e la Rai al valium di Masi

Ci mancava solo il digitale terrestre che “salta” alla fine del primo tempo della partita dell'Italia contro i kiwi della Nuova Zelanda, partita da cardiopalma, altro che goleada. Pluff... e Torino è andata al buio. Persino lo streaming di rai.it un disastro, correva voce fosse meglio quello di Al-Jazeera... La Rai sommersa di telefonate e di insulti.

Il digitale è stata una italica jattura. Solo la “sospensione” elettorale (Milano è stata digitalizzata solo a voti amministrativi scrutinati, e probabilmente non per caso) ha fatto tirare il fiato qualche mese fa ai teledipendenti-tecnologicamente-non-autonomi (ma anche a quelli che si son stufati di smanettare ore per mettere a posto i canali): poi però la tv delle bizze, da reimpostare ogni tre per due, è ripartita in mezza Italia. Ai centri anziani e nelle sale d'attesa della mutua è uno degli argomenti più “quotati”: chi ha inutilmente cambiato l'antenna, chi si è segnato il numero del “tecnico” vicino al telefono, chi si è arreso e capta solo le tv locali.

Ma il disastro tecnologico è solo un costone della frana...

Lasciamo perdere Minzolini, che fa romanzo a sé: se le “minzolinate” finirono nei vocabolari come il gossip di chi alla bouvette della Camera orecchia gli onorevoli tra una pastarella e un caffè d'orzo, ora nella revisione del vocabolario andranno riscritte come il giornalismo di chi non solo non si sogna di guardare sotto il tappeto buono, ma manco racconta chi ci cammina sopra. L'ultima è stata la protesta degli aquilani. Desaparecida. E loro non lo hanno mandato a dire: ha fatto quasi più clamore la notizia non data al Tg1 della loro manifestazione, con l'autostrada bloccata.

I social-network sono diventati i luoghi d'aggregazione della protesta contro i programmi inopinatamente cassati dalla programmazione Rai, a partire da quelli per i bambini e via, via elencando. Sulla annunciata “riduzione” coatta del divano della Dandini e del programma di Saviano (meno serate = meno polemiche? Mah!) si affilano le spade dentro la Rai (minacce di dimissioni del direttore Di Bella) e fuori (gruppi organizzati).

Va a finire che il “caso Santoro” alla pari di quello del “doppio direttore” di Raitre (Ruffini/Di Bella: una poltrona per due) e di Rainews24 oscurata, son lì a scoppiettare come brace ardente, in attesa della pausa estiva: per i cinici, sono godibili boomerang di Mauro Masi, direttore generale che tutto butta all'aria pur di fare una televisione al valium. E quando si parla di lui a Roma si dan di gomito, per via di quella leggenda metropolitana che corre di bocca in bocca sul “terribile” d.g. sorpreso (sbattuto) fuori casa tra Campo de' Fiori e piazza Navona, con indosso un vezzoso pigiamino a orsetti: per altro risulta anche da un verbale della polizia (“lite animata”), che degli orsetti però non fa cenno.

Prossime puntate? Masi annuncia che non si dà per vinto. Il digitale per ora va al buio. Gli orsetti, chissà che fine han fatto.
(da www.globalist.it)

lunedì 14 giugno 2010

La solitudine dei troppi

E' il senso di solitudine che attanaglia quando si perde il lavoro. Quando le merci esposte nelle vetrine sembrano beffarde. Quando i centesimi pesano come non mai. Quando tutto intorno sembra che niente sia cambiato e la tv ripete che ce la facciamo, ce la facciamo, ce la facciamo... Ed è la solitudine di tanti. Di troppi.


L'Osservatorio “capitale sociale” di Coop Adriatica (realizzato insieme a Demos) ha da poco diffuso i dati che raccontano il disagio economico: tocca il 42% del campione il numero delle famiglie in cui qualcuno ha perso il lavoro o è in cassa integrazione. Un numero annichilente.
Solo due anni fa questo Paese aveva come problema principale quello della “sicurezza”. Non la mafia, non la camorra: ossessionati dalla micro-criminalità. Gli esperti avevano un bel strillare che le nostre città erano più sicure di tante capitali europee, che si trattava di un sentimento esagerato, acuito dall'insistenza con cui veniva data notizia di ogni villetta svaligiata, di ogni scippo nel parco: la paura si diffondeva come un'epidemia. Un Paese che vedeva nemici ovunque: zingari, extracomunitari e - direbbe De Andrè - “tipi strani”.
Oggi non sappiamo più quanto la micro-criminalità è diffusa, ma non ce ne curiamo: solo il 16% del campione dichiara “insicurezza personale”. Il 58,9% è preoccupato invece dalla “insicurezza economica”. Un'altra storia.


Non c'è bisogno di statistiche per conoscere lo stato d'ansia, gli scaffali dei negozi eternamente pieni di offerte speciali, saracinesche che si abbassano... E non fa neppure sentire meno soli: il “male comune” non si condivide - checché ne dicano i vecchi proverbi. Ma unisce: lo si è visto sabato 12 giugno tra i centomila di Piazza del Popolo, lo si è sentito nelle voci del corteo, nella rabbia contro una manovra ingiusta, che ricade una volta di più sulle famiglie dei lavoratori. Tartassati dalla crisi. Tartassati dal non governo della crisi. E dagli interventi pubblici che, una volta di più, cadono sempre “sulle stesse spalle”. Ma fino a quando?

(da www.radioarticolo1.it)

lunedì 7 giugno 2010

Ferrario-Busi, la "cape-popolo" che tanto disturbano Minzolini

Ferrario-Busi, la "cape-popolo" che tanto disturbano Minzolini

(questa è una "invenzione" dei Cipriani per non lasciarmi... scappare dal loro sito: cliccando si va sulla pagina di globalist.it su cui è pubblicato l'articolo)

Adottiamo l'art.41

“Tutto è libero, tranne ciò che è vietato”: che il nostro ministro all’Economia sia un battutista, è noto. Ma che abbia scelto di chiosare in questo modo, dal G20 di Busan (nella Corea del sud), la proposta choc di mettere le mani sull’articolo 41 della Costituzione, costerna.

Per la memoria, l’articolo 41 recita:

“L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Per il ministro, questa, è una gabbia. Tremonti vuole competere con i mercati “flessibili” (come la Corea), rompere le regole. Anche se si chiamano “sicurezza”, “libertà”, “dignità umana”. Vuole misure di liberalizzazione economica, nel momento in cui l’Occidente neo-liberista cerca invece di dare regole al mercato.

Se Tremonti vuole togliere lacci e lacciuoli all’impresa, strangolata dalla burocrazia, difficilmente qualcuno vorrebbe dargli torto: semplicemente, non serve toccare la Costituzione. Perché l’art. 41 dichiara che l’impresa privata è libera, non soffocata dalla carte bollate. Ma la Costituzione aggiunge anche che deve essere “indirizzata” e “coordinata” ai fini sociali: il ministro, invece, ha già dichiarato che regole e verifiche sarebbe opportuno farle ex post. Quando è troppo tardi. E, magari, in vista di una sanatoria.

Il passo successivo, quale dovrebbe essere? Forse l’abolizione delle libertà sindacali, un altro vincolo alla libertà d’impresa?

C’è nel Paese un movimento di persone che hanno deciso di “adottare” gli articoli della Costituzione, per difenderli, preservarli, renderli vivi: chi sceglie il 21, la libertà di stampa, chi il 37, la parità uomo/donna sul lavoro, chi l’11, l’Italia ripudia la guerra… Articoli a rischio. Adottiamo l’articolo 41.


(da www.radioarticolo1.it)

martedì 1 giugno 2010

Il 2 giugno e i tagli alla memoria

Ci sono parole che sono di pietra dura: Dignità, Libertà… Parole unite da un filo che non si disperde mai tra le pagine della Costituzione. La dignità che viene dal lavoro, il lavoro che deve dare dignità economica. La libertà indissolubilmente legata alla conoscenza… E tutto questo, oggi, è sotto attacco. Anche la memoria.

La crisi economica scaricata una volta ancora sui più deboli, “sempre sulle stesse spalle” come dice Guglielmo Epifani. E non soltanto perché allontana sempre più i precari dal lavoro buono e interviene su stipendi e pensioni: basta leggere le cronache, chi pagherà il pedaggio sul raccordo anulare di Roma, se non i pendolari che vivono fuori dall’anello della Capitale? Chi sarà penalizzato dai tagli ai servizi già annunciati in Lombardia? E’ la dignità che continua ad essere erosa.

C’è un’altra libertà preziosa sotto la scure dei tagli: quella che viene dalla conoscenza, dalla cultura e dalla memoria. Così persino l’Istituto per gli studi filosofici di Napoli, unico al mondo secondo l’Unesco, è finito nella lista degli enti considerati “non utili”, non ha più soldi per sopravvivere.

Ma a rischio c’è anche, proprio mentre si festeggia la nascita della Repubblica italiana, un luogo simbolo: il Museo di via Tasso, a Roma. Non è che un appartamento in un palazzetto d’inizio Novecento: lì nei nove mesi dell'occupazione nazista della capitale, tra il 1943 il 1944, cinque stanze furono trasformate nelle celle in cui venivano rinchiusi e torturati centinaia di partigiani della Resistenza romana prima di essere deportati e fucilati alle Fosse Ardeatine o a Forte Bravetta. Stanze che mostrano ancora i segni e i graffiti dei partigiani, gli ultimi addii, gli ultimi aneliti di libertà. I ragazzi delle scuole, lì, vedono l’orrore.

E’ la nostra memoria, la memoria della Resistenza da cui è nata la nostra Costituzione: ed è finita anch’essa, per questo Governo, come ente “non utile”.

(da www.radioarticolo1.it)

mercoledì 26 maggio 2010

Minzolini si supera: censurato pure Cannavaro

Stavolta Minzolini ha proprio esagerato. Un fallaccio contro la Nazionale di calcio: è riuscito a censurare anche Cannavaro. Il “bisticcio” su Mills, quello per cui la “prescrizione” è stata – ops - scambiata con una assoluzione, ormai è acqua passata e mobilita solo il popolo della Valigia Blu. La cacciata di Tiziana Ferrario dal video ha avuto l'onda lunga, ne hanno parlato anche i giornali popolari, perché la Ferrario è un personaggio popolare, ma ormai – come il direttorissimo sapeva – anche quest'acqua è scivolata sotto i ponti. L'addio della Busi è stato anche più clamoroso: è un'icona della tv, amatissima, la faccia (dolce) del Tg1, le sue parole di fuoco hanno roteato sopra i cieli di Saxa Rubra: ma Minzolini per parare il colpo prima ha fatto girar la voce che voleva farla fuori, poi ha buttato in video le “giovani e carine”. L'altra sera “problemi tecnici” hanno impedito di sentire le parole di Elio Germano – quello che non piace a Bondi – premiato a Cannes (“Gli italiani che fanno di tutto nonostante la classe dirigente..."). Tanto per far infuriare un po' di più il mondo del cinema.Ma Cannavaro no! Che è successo? Che il Capitano della nazionale in conferenza stampa se l'è presa con Bossi jr: “Io mi sento italiano al 100% e quando vedo il tricolore, anche in altri sport, mi emoziono. Tanta gente non lo fa e non riesco a capire il perché. Per quanto riguarda il figlio di Bossi, ognuno è libero di fare quello che vuole. Non so se c’entri o meno anche la politica. Io dico solo che all’inno mi emoziono. Renzo Bossi non tifa Italia? Io mi sento italiano al cento per cento, e mi vengono i brividi all’inno: se poi ad altri non riesce, liberi di farlo, ma non so perché”. Ma al Tg1 il riferimento a Bossi jr, detto la trota, non c'era più. Pure Cannavaro imbavagliato...

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martedì 18 maggio 2010

Santoro lascia la Rai: accordo consensuale

La notizia arriva secca come una fucilata: Michele Santoro lascia la Rai. Accordo consensuale.
Nella nota dell'ufficio stampa di viale Mazzini, diramata al termine del Consiglio d'amministrazione, si aggiunge che: “l'accordo consensuale, che deve essere implementato attraverso contratti applicativi che saranno messi a punto nei prossimi giorni, prevede la realizzazione di nuovi progetti editoriali che verranno realizzati da Michele Santoro nei prossimi due anni. Rai continuerà quindi ad avvalersi della collaborazione di Michele Santoro che - conclude la nota - in questo modo, avrà la possibilità di sperimentare nuovi generi televisivi attraverso un ulteriore sviluppo del proprio percorso professionale”.

Un comunicato che dice tutto e dice niente. Ma che accende persino troppi rimandi. Il clima intorno a Santoro è incandescente da anni. La cacciata. I processi. Il ritorno ordinato dal giudice. E poi le censure. Le polemiche sempre. L'allontanamento di Vauro nei giorni del terremoto. Il contratto a Marco Travaglio che non passava la firma. Gli scontri con il dg Mauro Masi. Lo stop elettorale.

Ed è nei giorni del bavaglio elettorale, come talvolta accade nei momenti di massima crisi, che la pressione censoria è esplosa in una notte di inattesa libertà (televisiva): Raiperunanotte, il programma di Santoro realizzato al paldozza di Bologna e trasmesso dalle tv locali, dal satellite, soprattutto da una rete di grandi, piccoli, piccolissimi, improvvisati siti web ne hanno fatto un evento. E forse qualcosa di più: hanno aperto una finestra alternativa alla tv. L'hanno spalancata.
Difficilissimo calcolare gli ascolti, ma non impossibile: ed è così che è stato calcolato uno share del 13%. Clamoroso.

Un'esperienza che non può essere abbandonata a se stessa.

Il freddo comunicato aziendale lascia spazio solo a congetture. Anche Bruno Vespa, per capirci, ha un rapporto di questo tipo... Ma è troppo sperare che l'intento di Santoro e della sua squadra sia di rilanciare quella rete che, dal satellite al web, ha riaperto i giochi sul futuro della tv?

A sentire i boatos di queste settimane, del resto, Santoro è già a caccia di una redazione: si è parlato persino di quella dismessa di Red, piano terra di Palazzo Grazioli, dalle cui finestre si vede l'accesso secondario alla residenza del premier...

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Oscurata Rainews24: il bavaglio continua

Dov'è finita Rainews24? Al suo posto sul telecomando, canale 42 del digitale terrestre, non c'è più! “Oscurata”, denunciano il direttore e la redazione, pronta a denunciare l'azienda per “interruzione di servizio pubblico”.
Che sia solo una “frittata annunciata” per la partenza della digitalizzazione della Lombardia, ci credono in pochi: neppure sul satellite si trova più, sul solito canale 506 del bouquet di Sky c'è il promo di Raisport2! Qualcuno armato di santa pazienza ha ripescato Rainews24 sul decoder digitale al canale 998, proprio in fondo: come i ragazzetti molesti che in classe vengono messi in ultima fila. E per giunta non sembrava più lei, con la patacca del nuovo logo al posto dei flash.

Dopo le mille disavventure della partenza del digitale nel Lazio, nei giorni scorsi si scommetteva su nuovi malumori tra il pubblico, perché già si immaginava che il via a una nuova regione avrebbe scombussolato di nuovo il telecomando: frequenze spostate, con tutto quel che ne consegue. Soprattutto per le persone anziane, che non sanno perder le ore a risintonizzare i canali e devono – per l'ennesima volta – chiamare e pagare un tecnico.

Ma perché Rainews24 (che perde pure il “24” del titolo, per “omologarsi” agli altri canali! Ma quando mai...), la tv che ha mandato in onda “Raiperunanotte” di Santoro, la tv del “Caffè” di Mineo già scalzato dalla trasmissione in chiaro del primo mattino di Raitre, la tv che con un budget largamente insufficiente salva la faccia alla Rai garantendo un'informazione completa, viene scaraventata in fondo al telecomando?

Il direttore Corradino Mineo si scusa con i telespettatori e sul sito di Rainews24 (dove si dà conto delle centinaia di mail di protesta per l'oscuramento), scrive una nota che definire critica è un eufemismo: “Faremo di tutto per comprendere le ragioni di questo oscuramento e porvi rimedio – scrive il direttore -. Rainews informa, inoltre, che da oggi il Canale non si chiama più Rainews24 ma solo Rainews e che, per omologare l'intera offerta aziendale, la Direzione Generale ha deciso di spostare il logo in alto a destra dello schermo. Il logo, purtroppo, risulta poco leggibile, mentre la nuova grafica impedisce, per il momento, di mandare in onda i flash, strumento indispensabile per una all news. Anche di questo ci scusiamo con gli utenti".
À la guerre comme à la guerre.

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lunedì 17 maggio 2010

W Garibaldi

Nell'elenco dei Mille non c'è, ma mia nonna Virginia, detta Emilia, raccontava che quel 7 maggio del 1860 a Talamone c'era anche il mio bisnonno: Lorenzini da Piombino. Poco più che un bambino. Era scappato da casa per raggiungere Garibaldi e imbarcarsi con lui. La storia narra che Garibaldi e i suoi Mille a Talamone sostarono qualche giorno perché i rifornimenti, armi e vettovaglie, non erano pronti. E' così che la trisavola ebbe tempo di raggiungerli e di scongiurare Garibaldi che facesse tornare a casa quel discolo, ma il Generale – narra la leggenda familiare – le rispose che il piccolo eroe aveva stoffa da grande e avrebbe dovuto decidere da solo. E il bisnonno partì... Si narrava in famiglia di una lettera, firmata da Garibaldi, in cui rassicurava la mia ava sul figlio: lettera perduta, affidata a una prozia che, in vecchiaia, l'avrebbe donata a un parroco piemontese collezionista di autografi. Chissà: magari prima o poi salta fuori.

sabato 15 maggio 2010

Le mani sulla free press: Dnews licenzia i fratelli Cipriani

Le mani sulla free press. Licenziati in tronco i direttori di “DNews”, quotidiano con redazioni a Roma, Milano, Bergamo e Verona. Eppure l'hanno fondato loro, Antonio e Gianni Cipriani.

“Giusta causa”, secondo l'editore Mario Farina. Accusati, secondo i rumors, di non aver più firmato editoriali da troppo tempo... Sospettati, secondo altri, di aver troppe poche cautele nei confronti del potere costituito, Alemanno, Polverini, Moratti, Formigoni e, soprattutto, Berlusconi... L'ultimo numero con la loro firma, distribuito venerdì 14 maggio, titola in prima pagina nell'edizione di Roma: “La sanità ci costerà nuove tasse”. E, nell'edizione di Milano: “Prove di rivolta al Triboniano”. Come dire: una redazione a caccia di notizie e con in più un gruppo di editorialisti che non vuole mordacchie, da Ennio Remondino a Mario Morcellini, da Ritanna Armeni a Massimo Bordin. Mix evidentemente indigesto per chi più che alla libertà di stampa punta al marketing.

I Cipriani sono recidivi. Nel 2004 avevano inventato E-Polis, e tre anni dopo se ne erano andati con l'arrivo di Marcello Dell'Utri nella compagine societaria (e con loro lasciarono il giornale quaranta editorialisti). Nel 2008 hanno fondato Dnews, mezzo milione di copie. Gli unici due esempi italiani di quella che si chiama “free press di terza generazione”: distribuita gratuitamente e pagata dalla pubblicità, ma anziché puntare su notizie sincopate, per un pubblico che per leggere ha il tempo di poche fermate di metropolitana, si presenta come un giornale tradizionale, per una lettura più approfondita, riflessiva.

E' andata a finire che il pubblico ormai riconosceva E-polis del nuovo corso come giornale filo-governativo e Dnews decisamente libero e democratico. Adesso, probabilmente, si assomiglieranno di più: l'editore avrebbe già annunciato per la Dnews post-Cipriani una direzione moderata...

Perché il bavaglio non è solo alle tv.

P.S. Sono una dei 40 editorialisti che hanno lasciato E-polis insieme ai Cipriani. A DNews siamo assai meno, da quando l'editore ha imposto un drastico taglio di foliazione (e sacrifici alla redazione): e adesso ci risiamo... Solidarietà ad Antonio e Gianni, e a tutti i colleghi di DNews.

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martedì 11 maggio 2010

La scommessa

Il crac che arriva dalla Grecia fa tremare l’Europa. E il mondo. Che un debito è un debito, questo lo sanno tutti: e il debito della Grecia, strabordante e nascosto, è lo scandalo che affonda l’Ellade. Ma quando la crisi economica dilaga ci si perde in una misteriosa selva di sigle, nella babele delle parole, tra “società di rating”, Stati promossi o declassati a “doppia A”, a “tripla A” con o senza “+”, per non parlare degli Hedge found, dei Credit default swaps. E’ la finanza, bellezza! (per parodiare la frase di “Quarto potere”).

Ora che siamo a una stretta, che le preoccupazioni per la tenuta dell’Europa dell’Euro coinvolgono anche mr.Obama, che da questa crisi non guadagna né la Cina né gli Usa, i “misteri” della finanza improvvisamente si svelano e anche gli specialisti abbandonano il linguaggio da iniziati (da club riservato, da setta): nella tempesta economica che sconvolge il mondo, spiegano, qualcuno ci guadagna. Gli “speculatori”: ovvero, più semplicemente, chi ci “scommette” sopra.
Una scommessa. Come indovinare il risultato di una partita al Totocalcio.

Persino il Sole24ore, che non manca mai sul tavolo dei manager, dichiara: “Esattamente come nella sala scommesse: si punta sulla vittoria o sulla sconfitta di una squadra” (articolo di Stefano Elli, edizione di domenica 9 maggio). A scommettere sul “rialzo” o sul “ribasso” delle valute sono gli investitori: unica regola, guadagnare. A costo di mandare a gambe all’aria l’economia di un Paese, di un Continente.

Ci voleva una nuova tempesta economica perché i “misteri della finanza” si rivelassero per quel che sono, una smisurata, globalizzata, sala scommesse, che inghiotte denaro a scapito della cosiddetta “economia reale”. Le aziende investono in “finanza” anziché reinvestire in fabbrica. Gli scommettitori si ritrovano a Wall Street anziché nei bar di periferia, ma il gioco è sempre quello: solo che anziché gli spiccioli volano i capitali.

Ostaggi delle scommesse. E’ nata una economia parallela, fatta di esperti di ogni ordine e grado che si specializzano in questo o quel tipo di investimento, area Euro, Pacifico, Nord Atlantico, Asiatica… Posti di lavoro. E’ stato il cinema, per primo, a metterli nel mirino, yuppies degli anni Ottanta, giovani con la carriera in Borsa. Non è bastato il tornado dei mutui americani, la grande crisi che ha fatto tremare da Tokyio e Wall Street: la speculazione non ha un codice etico, in meno di due anni è tornata padrona.

Ora, che alle cose si torna a dare un nome, che i debiti sono debiti e le scommesse sono scommesse, i Governi si interrogano se non sia troppo tardi per riprendere in mano le redini dell’Economia. E’ per questo che gli aiuti alla Grecia, in questo momento, sono non soltanto una necessità per l’Europa, ma anche un banco di prova. Un braccio di ferro con la speculazione.

(da www.radioarticolo1.it)

domenica 9 maggio 2010

Lo sbarco dei nuovi garibaldini per salvare l'Italia

Lo sbarco. Come quello dei Mille. Ma stavolta ad approdare a Genova, la sera del 26 di giugno, dopo una notte e un giorno di viaggio in mare, saranno un gruppo di italiani all’estero (che s’annuncia folto), imbarcati a Barcellona per raggiunger le natie sponde. Imbarcati su una nave di linea, centocinquantanni dopo la traversata di Garibaldi, per protestare contro “l’arroganza, la prepotenza, la repressione, il malaffare, il maschilismo, la diffusa cultura mafiosa, la mancanza di risposte per il mondo del lavoro, sempre più subalterno e sempre più precario” che strangola l’Italia. Sono mesi che stanno preparando l’impresa: tutto è nato da un gruppo di italiani a Barcellona che qualcosa volevano fare (“seriamente preoccupati per ciò che avviene in Italia”), e dilagata con il passa-parola: ora ci sono gruppi organizzati a Bruxelles, a Parigi, anche ad Atene, e gente che aderisce dalle lontane Galapagos come da Cagliari, o Roma, o Milano, per preparare al loro arrivo a Genova (domenica 27 giugno) una giornata di iniziative e spettacoli e manifestazioni, che si concluderà la sera con un concerto al Porto Vecchio.Hanno scritto un “manifesto” i nostri italiani all’estero, che vanno leggendo per sagre e paesi, in giro per l’Europa: persino dal sagrato della chiesa a Sant Just, per la festa di Sant Jordi… Utilizzano Facebook per condividere le macchine, da Valencia piuttosto che da Bruxelles, che li devono portare a Barcellona dove salpa la “nave dei diritti”. E intanto organizzano rassegne cinematografiche per finanziarsi. Sarà la “nave dei diritti”, che “ricorderà la nostra Costituzione e la sua origine, laica e pluralista, la centralità della libertà e della democrazia vera, partecipata, trasparente: dai luoghi di lavoro alle scuole, ai quartieri, ai servizi, al territorio. Ricorderà che il pianeta che abbiamo è uno, è questo, questo è il nostro mare, di tutti i popoli. Che chiunque ha diritto di esistere, spostarsi, viaggiare, migrare, come ha diritto che la sua terra non sia sfruttata, depredata. Ricorderà che le menzogne immobilizzano, mentre la verità è rivoluzionaria.Ricorderà che cultura e arte sono i punti più alti del genere umano, sono fonte di gioia e piacere per chi li produce e per chi ne beneficia, non sono fatte per il mercato.Ricorderà che esistere può voler dire resistere, difendere la propria e l’altrui dignità, conservare la lucidità, il senso critico e la capacità di giudizio” (dal “manifesto” de “Lo sbarco”, www.losbarco.org).Insomma: arrivano i nostri! E non stupiamoci troppo se su internet ha aperto una pagina anche “la prima ONG africana che porta aiuti umanitari all'Italia”, “Poveri voi”, il cui scopo dichiarato è “trovare una soluzione al disagio sociale diffuso tra i giovani italiani, che sta portando l'interno popolo del paese a una progressiva e drammatica disumanizzazione”. E il presidente e fondatore, Ronald Samako, per “ridare al triste popolo italiano un sorriso per il futuro”, propone anche adozioni a distanza.
(da www.globalist.it)

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Contro il bavaglio (anche) ai blog

sabato 8 maggio 2010

Cancellato il "caffè" di Mineo: se non è l'ennesima epurazione...

Su Raitre al mattino non si prende più il caffè con Corradino Mineo. Dallo scorso 3 maggio al suo posto va in onda una rassegna stampa che tiene d'occhio le testate “minori”, quelle regionali, curata appunto dalle redazioni dei tg regionali. Non è un granché. “Il caffè” di Mineo, con le sue interviste che spesso dettavano l'agenda della giornata, era un piccolo “affaccio” sulle reti generaliste della rete all-news della Rai, Rainews 24, che altrimenti – per chi ce l'ha - si vede sul satellite o – per chi ce l'ha – sul digitale terrestre. Una sinergia, come si suol dire. Ma per tutti quelli che mentre guardano la tv non stanno tanto a cavillare su chi dirige cosa, era più semplicemente il primo appuntamento del mattino. La concorrenza al salotto politico di Omnibus (il fortunato “mattinale” di La7) o all'informazione popolare di “Uno mattina”. Diciamola tutta: il primo mattino è uno dei momenti più vivaci della giornata televisiva, buon giornalismo e ascolti di tutto rispetto...Ora, che è successo? Normale assestamento dei palinsesti tv? Ma che normalità c'è a cancellare una trasmissione di successo? Anzi, non a “cancellarla”, ma a riservarla ai fortunati telemaniaci che si costruiscono la giornata tv saltellando tra i canali specializzati del satellite e del digitale, e le vecchie reti generaliste. Ora su Facebook è spuntato un gruppo che si chiama “No alla cancellazione da Raitre della trasmissione di Corradino Mineo Il Caffè”: perché sono parecchi quelli a cui questa “novità” non convince. Questione delicata. Epurazione?Il fatto è che se si è costretti ad abusare di termini gravissimi come “epurazione” o “liste di proscrizione”, va a finire che si crea una nuova paradossale “normalità”, e che gli allontanamenti e gli oscuramenti non suscitino più emozione e reazione: ma come definire altrimenti il fatto che le interviste di Mineo ora non sono più su Raitre? Ormai l'elenco degli “assenti” e dei penalizzati si allunga. Dai conduttori del Tg1 (e, come era nelle cose, del “caso Ferrario & C.” non si parla più), alle trasmissioni per bambini di Raitre (il “Fantabosco & C.”), persino Neri Marcorè con “Un pugno di libri”. Non stiamo parlando di censure, stiamo raccontando una tv che si svuota. Miracoli del palinsesto. Miracoli di una programmazione che non si decide più anno su anno, ma spezzettata nelle stagioni, “cotta e mangiata”: il che non significa affatto maggiore dinamismo, significa semmai che non è garantita la prossima stagione di “Report”, che non si ha certezza del ritorno di programmi come quello di Riccardo Iacona.Banale ottimizzazione aziendale: non c'è forse il digitale terrestre, refugium peccatorum per tutti i “diversamente scomodi” nell'Italia che scivola sempre più giù nelle classifiche sulla libertà di stampa? (Secondo “Freedom house” siamo solo “parzialmente liberi”, come il Sudafrica e le Filippine, scivolati al 72esimo posto, dopo Suriname, Trinidad e Tobago)
(da www.globalist.it)

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martedì 4 maggio 2010

La canzone dell'acqua

“…la canzone dell'acqua
è una cosa eterna.

È la linfa profonda
che fa maturare i campi.

È sangue di poeti
che lasciano smarrire
le loro anime nei sentieri
della natura”.


(Federico Garcia Lorca)

Avrebbe mai potuto Garcia Lorca dedicare questa sua poesia, per dire, ad “Acqualatina”, società privata partecipata dalla multinazionale francese Veolia, la stessa che forniva il servizio a Parigi? L’acqua: bene comune. E dall’Agro pontino alla metropoli francese, notizie di questi giorni, il modello di gestione di Veolia non solo è stato bocciato dai cittadini, ma l’acqua è tornata pubblica. Così come in Sicilia… E la gente sta in coda ai banchetti a firmare per i referendum sull’acqua: in pochi giorni il comitato promotore, a cui aderiscono decine e decine di associazioni (e anche la Cgil condivide la battaglia per l’acqua, perché rimanga un bene pubblico essenziale quale diritto universale, e la Fp-Cgil sostiene l’iniziativa referendaria), dichiara d’aver raccolto già un terzo delle firme necessarie.

Il Governo s’indigna. Il ministro Ronchi ripete che anche lui, nel suo decreto, parla di acqua pubblica: “Piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche”. Ma tra i settemila cittadini di Aprilia che rifiutavano di pagare le bollette a Veolia (insieme a quelli che oggi firmano per il referendum) e il ministro, corre un “sottile” distinguo: la distinzione è tra “acqua bene pubblico”, “acqua bene comune”. E si scopre che tra due frasi che sembrano dir quasi la stessa cosa, in realtà c’è un abisso. L’abisso che corre tra una sorgente che sgorga e una multinazionale che la imbottiglia. L’acqua è sempre “pubblica” (e gratis), l’imbottigliamento e il trasporto, ovviamente, no. Anche se a noi sembra di pagare il contenuto, non il contenitore!

Lo stesso vale per le reti idriche.

E’ vero che in Italia la gestione pubblica dell’acqua… fa acqua da troppe parti. Ma la gestione privata (che fin qui ha prodotto solo un aumento delle tariffe) trasforma addirittura in merce un bene che in molte parti del mondo si rivendica invece come bene comune primario: come l’aria che respiriamo. Come la conoscenza.

“Il tema dell’acqua” ha ricordato in questi giorni Stefano Rodotà, “è sempre stato intrecciato con quello del potere: questo referendum si distingue da tutti quelli che l'hanno preceduto perché riguarda l'assetto e la distribuzione del potere in una materia decisiva per la vita delle persone.”

Ripensare il pubblico, non cercare le scorciatoie del privato: è questo che è scritto, una volta ancora, nella nostra Costituzione. E’ l’articolo 43, quello che dice: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. Certo che poi c’è anche chi la vuole smantellare, la nostra Costituzione…

(da www.radioarticolo1.it)


sabato 1 maggio 2010

La verità rivoluzionaria di Fini sul giornalismo

Turn-over di intervistatori nel Corridoio dei passi perduti… E “passi” precari (nel senso di autorizzazioni all’ingresso) per giornalisti precari tra le poltrone del Transatlantico. Ci sono/non ci sono. Fantasmi dell’informazione. In un’aula universitaria il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, rivela l’evidenza negata: nell’editoria – dice - “in molti casi si arriva a forme di sfruttamento che sono presentate come inevitabile flessibilità”. Sfruttamento mascherato da flessibilità. Contratti a termine. Collaborazioni. Popolo delle partite Iva con la sveglia alle 5 del mattino e il cartellino da timbrare. La libertà di stampa senza la libertà della certezza del lavoro, è una libertà che non c’è. Due libertà sotto uno stesso ricatto: scrivo quello che devo, non necessariamente quello che vedo. La verità è rivoluzionaria. Sentirla pronunciata dalla terza carica dello Stato fa uno strano effetto: non passano forse dal suo tavolo le carte che diventano leggi, le leggi che fanno dei precari persone senza diritti e che fanno dei lavoratori dipendenti i nuovi precari? Anche nei giornali, come ovunque. Ma nei giornali non si fabbricano bulloni tutti uguali, di metallo duro: l’informazione è merce avariabile, delicatissima, fragile caposaldo costituzionale. Da trattare con cura. Se chi scrive non è libero, chi legge è meno libero.Fini ha rotto ogni argine. Ora dice le verità nascoste, non solo dentro il Pdl. Ma allora nel corridoio dei passi perduti, a Montecitorio, gli onorevoli in attesa di intervista li vedono bene questi “fantasmi”! I “somministrati” con biro e taccuino aperto, gli “affittati” con i borsoni col computer a tracolla, i “free lance” col telefonino che squilla e il caposervizio che urla…Fini ha anche il tesserino amaranto dei giornalisti, e da giornalista ha parlato del “mestieraccio” agli studenti dell’università dell’Insubria di Varese: “Vi è nella funzione del giornalista un quid di eversivo e rivoluzionario. Un anarchico disciplinato è una contraddizione in termini. E se questa è la stampa non possiamo farci niente”.Il sindacato dei giornalisti da anni è in piazza a denunciare che la flessibilità dei “lavoratori dell’informazione” è uno strumento di controllo dell’informazione. Ma i giornali… non ne parlano. Sono più o meno 15mila i giornalisti che hanno contratti “giusti”, quelli dell’editoria (anche se molti sono a termine); ma sono altrettanti a ingrossare le fila dell’ esercito di collaboratori. Un pareggio dell’ultim’ora che non dice niente di buono. L’elenco dei contratti atipici è lunghissimo: e c’è anche chi per fare il giornalista, col tesserino amaranto, ha firmato contratti da metalmeccanico o del commercio. Un problema di categoria? Un problema costituzionale. Che libertà hanno, i cittadini, di essere correttamente informati, se i giornalisti sono un esercito di flessibili sfruttati? La libertà di stampa, nel nostro Paese, è una corsa a ostacoli. Il Governo interviene sui fondi dell’editoria per i giornali di idee, di partito, in cooperativa, dove taglia sconsideratamente senza dare certezze del diritto ai giornali (e portandoli al collasso perché si chiudono così anche le possibilità di anticipazioni bancarie); interviene sulle agevolazioni sulle tariffe postali, abrogandole (e spezzando la possibilità di diffusione per le testate di nicchia); promuove leggi liberticide, dove per i giornalisti è prevista perfino la galera, come la “legge Alfano” sulle intercettazioni. Minaccia continuamente la libertà del web. E poi c’è il potere economico, che vincola le amministrazioni dei giornali… Un mondo travagliato. Popolato di cocciuti fantasmi.

(da www.globalist.it)
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mercoledì 28 aprile 2010

... di nuovo in piazza

L’attacco alla libera stampa è una morsa che si stringe sempre più: i giornali vengono colpiti al cuore economico sul fronte finanziario (dopo i tagli alle provvidenze dell’editoria, sono state cancellate le tariffe postali agevolate), ai giornalisti si minaccia la galera. O la si annuncia. C’è anche questo, infatti, nella “legge Alfano”, quella sulle intercettazioni. Una legge che imbavaglia i cronisti. Che impedisce ai cittadini di essere informati. E per questo mercoledì 28 i giornalisti saranno di nuovo in piazza a Roma: appuntamento a piazza Navona alle 11, mentre a Palazzo Madama si discutono gli emendamenti…

Nella situazione di crisi che attanaglia il Paese, nella baraonda in cui è precipitato il Governo, nella totale mancanza di iniziativa legislativa a favore dei lavoratori, nella colpevole mancanza di aiuto alle aziende in crisi, il problema principale per il nostro Parlamento sono, una volta ancora, le intercettazioni. Si sa: l’Italia è un paese terrorizzato dalle intercettazioni. Vogliamo parlare dei segreti industriali che si confidano gli operai cassintegrati? Delle ricette (segrete) che si scambiano le massaie? Degli amori (segreti) sussurrati al microfono dagli adolescenti?

A temere le intercettazioni non sono loro: sono le mafie d’ogni ordine e grado, delinquenti doc e delinquenti che ridono quando un terremoto distrugge l’Italia. Quanto basta perché tutti i richiami alla privacy suonino beffardi. A volerne sapere di più, invece, sono i cittadini che hanno a cuore questo sventurato Paese. E i giornalisti, i tanti, tantissimi giornalisti, che non si lasciano piegare, comprare, barattare. I tanti giornalisti che denunciano l’impossibilità di fare, fino in fondo, il loro mestiere.

Contro la “legge Alfano” il presidente della Fnsi, Roberto Natale, ha già annunciato che il sindacato dei giornalisti italiani è pronto a ricorrere alla Corte Europea.
Contro i “silenzi” e le epurazioni al Tg1 giornaliste come Maria Luisa Busi e Tiziana Ferrario non esitano a denunciare la perdita di credibilità del primo tg italiano, sotto la direzione di Augusto Minzolini.
Contro il premier che accusa Roberto Saviano e la fiction “La Piovra” di ingigantire il fenomeno della mafia, l’ex direttore Rai e presidente di Libera Informazione, Roberto Morrione, non esita a scrivere articoli di dura denuncia (“Il serial killer della memoria e della libera informazione”).
Contro gli hacker che fanno “svanire” dai siti internet gli articoli di Morrione contro la mafia, si muove una catena di blogger che riproducono all’infinito quell’articolo.

La libertà di stampa è sotto assedio, ma c’è. E si difende anche in piazza.

(da www.radioarticolo1.it)

venerdì 23 aprile 2010

Te lo do io Minzolini

Su "Globalist" (www.globalist.it) sia io che Ennio Remondino abbiamo pubblicato articoli sulla situazione del Tg1, ai quali ha replicato Gianni Cipriani ironizzando sul "direttorissimo" Minzolini. Ma stasera, dopo aver visto il Tg1 sulla scontro Berlusconi-Fini, ho chiesto io diritto di controreplica. Ecco la mia "lettera"...

Caro Gianni,
ripenso alle accuse che mi hai mosso perché mi “infervoro” - scrivi - “nel difendere le ragioni della Busi e della Ferrario”, mentre rivedo sul sito internet del Tg1 l'edizione delle 20 del tg di Minzolini nel giorno più lungo, quello che il direttorissimo ha riassunto nel titolo d'apertura “Berlusconi-Fini, è rottura”. Il conta-tempo mi aiuta a seguire, secondo su secondo, il suo dramma. Le prime immagini sono dedicate a un Berlusconi suadente che invita Fini alla tribuna, gli chiede quando vuole intervenire, se ora o poi: assolutamente superflue in un tg dove i secondi valgono oro, fondamentali per distinguere immediatamente buoni e cattivi. Ma Fini spara ad alzo zero, non c'è niente da fare. Va in onda la lite. Praticamente la rissa. Secondo titolo del Tg1: “Vince il premier, solo 11 con Fini”. Ma de che?, dicono a Roma. Ma che titolo è? Sembra un titolo da giornale satirico, del vecchio “Male” (un po' troppo elegante per “Il Vernacoliere”): alla direzione del Pdl è successo l'iradiddio e il secondo titolo è su chi “vince”? Povero direttorissimo, che brutta giornata.

Il sito internet del Tg1 offre, come tutti i siti che si rispettano, anche una rassegna dei video “Scelti per voi”: le notizie di giornata, quelle più importanti o più accattivanti. Lo sfogliamo: tra un “drink e sternuti” (notizie di primavera) e “ceneri e lapilli” (dedicato all'Etna), compare anche “Vince il premier”. La “rottura” Berlusconi-Fini non c'è. Povero Minzolini.

(da www.globalist.it)

Star bene al lavoro

Stress da lavoro correlato. Un po' complicato come nome, ma si capisce benissimo di che si tratta: quando non ce la si fa più, del capo a cui non va bene niente, dei ritmi senza sosta, della concentrazione infinita, della ripetitività, ma anche della carriera che non va avanti, del precariato... Ci si ammala, di stress. Tecnicamente infatti lo stress da lavoro-correlato è una situazione di prolungata tensione che può ridurre l'efficienza sul lavoro e determinare un cattivo stato di salute. Vittime principali, le donne e i precari. E secondo la Fondazione europea per la formazione, ci si ammalano in tanti: il 22% dei lavoratori nell'Unione europea (4milioni e mezzo in Italia) ne soffre, il che significa un costo di 20 miliardi nella Ue per spese sanitarie e lavoro perso, visto che secondo l'indagine della Fondazione la maggior parte di assenze per malattia sarebbe legata proprio ai fattori di disagio psicologico sul lavoro.

La buona notizia è che dal prossimo agosto scatta anche per le aziende italiane l'obbligo di valutare il rischio-stress all'interno delle procedure sulla sicurezza sul lavoro (la normativa fa parte del “Testo unico” firmato nel 2008 da Prodi): ci sono parametri già predisposti a livello europeo, alle quali le aziende si devono attenere. E ci sono multe per chi non rispetta questo obbligo.
Sono passati due anni, solo due anni, da quando sulla Gazzetta Ufficiale è apparso quel testo che dettava le regole per la salute sui luoghi di lavoro, con in calce la lunga lista di firme dei ministri: e sembra un'altra storia...
La litania di licenziamenti, casse integrazioni, vessazioni sui luoghi di lavoro (suicidi, anche) è diventata questa la storia quotidiana di oggi; una situazione su cui il Governo non interviene, che non governa. E pensare che non dovrebbe neppure “far notizia” che un paese normale tuteli il lavoro e la salute dei lavoratori: invece, quando arriva una notizia così, che tira il freno alle aziende obbligandole a considerare anche la salute psicologica dei propri lavoratori, si ha quasi un sussulto. E una perfida domanda: ma quando hanno dato alle fiamme tutte quelle leggi, di questa non se ne erano accorti?

(da www.radioarticolo1.it)


mercoledì 14 aprile 2010

L'isola degli sfruttati

Quanti chili ha perso Sandra Milo? E' questa, ovviamente, la domanda che attanaglia l'Italia. Quel bel viso del tempo che fu ridotto malamente dagli anni e dal sole, senza veli alla telecamera. Cosa non si fa per lei: si affrontano stuoli di zanzare e mari in tempesta, ci si accontenta di pasti scarsi, giacigli di fortuna, tutto per “rubare” un'immagine indiscreta. “Come stare al fronte”, per non perdere un minuto del gioco insensato dell'Isola dei naufraghi più o meno famosi. “In prima linea” sotto il tiro incrociato degli zanzaritos.
Questo linguaggio guerresco è di Giorgio Gori, patron della Magnolia, co-produttrice della Rai
per “L'Isola dei famosi”: si riferisce con questi termini alla “professionalità” che si attende dai telecineoperatori, che in quelle condizioni devono lavorare su turni lunghi per non tradire le aspettative del pubblico che vogliono anche sentire la diva quando russa nel sonno.
Gori ha tirato fuori queste definizioni quando tra i tecnici dell'Isola è iniziata a montare la protesta e, in Italia, i loro colleghi hanno fatto eco con sit-in davanti a viale Mazzini contro le condizioni in cui le troupe sono chiamate a lavorare per mamma Rai.
Le sue parole danno il segno di quanto vale il lavoro, e la professionalità vera, per i padroni della tv: perché i telecineoperatori sono una categoria di precari. Se uno non ci sta, avanti un altro. Un ingaggio di 40 giorni per una produzione Rai è un lusso: 120 euro a giornata per convivere con un gruppo di ex-vip disposti a tutto per una nuova occasione. Un lavoraccio, senza dubbio, vista anche la differenza di fusi orari per le dirette, i capricci dei divi e quelli del tempo: sta qui, anche, la professionalità, nell'inquadratura migliore nonostante tutto. Ma nel tutto-compreso dei tecnici, però, non è previsto di lavorare davvero come in zona di guerra, anche quando il turno finisce...
“L'Isola”, stavolta, ha strappato il velo su un mondo che non è quello dei vip: alla ribalta sono arrivati i lavoratori dietro le quinte, quelli ai quali è vietato persino protestare. E la loro protesta di precari, che rischiano di non vedersi rinnovato l'ingaggio se alzano la testa, per una volta almeno ha “rubato lo schermo” all'idiozia dello show.
(da www.radioarticolo1.it)

giovedì 8 aprile 2010

Andate a lavorare!

Disoccupati? Basta rimboccarsi le maniche: il lavoro c'è. E' questo il messaggio che, dopo essere rimbalzato nei mesi scorsi da “Il Giornale” a “Panorama” (con tanto di pubblicazione di “offresi” posti di lavoro), approda ora niente meno che al Tg1. Con ordine, la cronaca...

Secondo le ultime rilevazioni Istat a febbraio c'erano 2 milioni e 127 mila persone in Italia in cerca di occupazione. Il dato della “inoccupazione” tra i 15 e i 64 anni è sette volte tanto: 14 milioni 933 mila tra giovani, donne e uomini. Una girandola di numeri. Quel che vien fuori è che va sempre peggio: sono calati gli occupati rispetto a gennaio, sono 395mila in meno rispetto a un anno fa, febbraio 2009, quando la crisi già mordeva stretto. Numeri che “non fanno più notizia”.

Bontà sua, il Tg1 qualche sera fa ne ha dato conto. In modo stringato, ovviamente: ha riportato la notizia che la disoccupazione a febbraio è all'8,5%... “Ma....”. E già: scoop! Augusto Minzolini ci ha informati dal primo tg italiano che nel settore dell'artigianato, tra orafi, falegnami e calzolai, ci sono 23mila posti di lavoro vacanti. E non si trova nessuno disposto a fare l'apprendista. Come usa nella neo-televisione, giro di interviste in strada. La prima ad un ragazzone. Lavori in questo momento? Lui ci pensa un po' su, poi “no”, ammette. Perché non vai a fare l'apprendista? “Veramente in questo momento gioco a pallone”. Risposta sibillina che strappa insieme riso e indignazione: ma come? Praticamente il Tg1 ti offre un lavoro su un piatto d'argento... Seconda e terza intervista: un ragazzo e una ragazza più giovani del primo, che sembrano fermati fuori da una scuola. I loro sono due no secchi, lei spiega anche che non ha manualità. E forse in testa hanno il sogno di fare gli ingegneri spaziali...

Non sappiamo dove Minzolini abbia trovato quel dato sul numero di artigiani richiesti dal mercato, ma negli stessi giorni Anna Soru, presidente di Acta, associazione dei lavoratori del terziario avanzato, spiegava invece al Corriere della Sera che nel lavoro indipendente che va in fumo “c’è dentro un po’ di tutto, dai commercianti agli artigiani che chiudono, alle partite Iva”. E Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato in Lombardia, sosteneva che “i piccoli artigiani che non riescono a stare sul mercato sono spinti dalle circostanze a chiudere l’attività per andare avanti in nero. Parliamo di famiglie che in qualche modo devono pur campare”. Insomma. Un quadro fosco.

Il Tg1 enfatizza i 23mila posti di lavoro, mostra immagini di piccole falegnamerie in piena attività, ma non dice che in un anno ci sono 395mila disoccupati in più. Avverte comunque che si tratta di posti per apprendisti: riservati cioè a quei giovani che - come vuole la ministra Gelmini - lasceranno la scuola dell'obbligo un anno prima?

E come sorprendersi allora se la “buona notizia” del Tg1, anziché allietare, indigna?

(da www.radioarticolo1.it)

giovedì 1 aprile 2010

new look

Ciao a tutti. Ho cambiato la foto: questa è quella che ho utilizzato in campagna elettorale, adesso mi sembra che mi rappresenti di più. Me l'ha scattata un'amica in un giorno felice: festeggiavo la mia laurea ("da vecchia") in Scienze delle Comunicazioni. Mi ha accompagnata in giro per Roma nei volantinaggi. Insomma: c'est moi...

I perché delle rappresaglie di Minzolini al Tg1

Maria Luisa Busi ci ha messo la faccia: lei, conduttrice storica del Tg1, che all'Aquila non c'è stata a far da parafulmine a Minzolini e che ora è rimasta a dividersi il video delle 20 con Attilio Romita, si è scrollata di dosso tutte le restrizioni imposte dalla Rai (che dai suoi dipendenti vorrebbe solo silenzio) e in una intervista a Repubblica dichiara che la “cacciata” di Tiziana Ferrario, Paolo Di Giannantonio e Piero Damosso, ma anche quella del caporedattore Massimo De Strobel, è una “rappresaglia”. Senza mezzi termini.Rappresaglia perché si sono rifiutati di firmare quel documento fatto girare al Tg1, in solidarietà con Minzolini (87 firme su 160 redattori) dopo il “caso Mills”, assolto mediaticamente dal principale tg pubblico. Una “lista”, rosa e nera: promossi i firmatari, cacciato chi non c'è. E si comincia dai più noti, per dare l'esempio. Dice Minzolini che vuole “rinfrescare” il volto del tg, che con lui perde ascolti a rotta di collo (è arrivato al 26%). Le bugie hanno le gambe cortissime, e Minzolini non si ricorda neppure che De Strobel non è un “volto”: da 18 anni era l'uomo-macchina che faceva funzionare il Tg1 come un orologio, sotto tutti i direttori.Nei corridoi di Saxa Rubra, in parallelo con le epurazioni, si parla ad alta voce anche delle carriere e delle assunzioni, dell'esercito di precari fidelizzati, tutti riconducibili a quel famoso “documento” fatto girare in redazione da vicedirettori e caporedattori “fedeli”. Sempre quella storia: quando apparendo in tv per l'ennesimo editoriale Minzolini (nervoso come non mai, da far venire mal di testa ai telespettatori col suo ciondolare da un lato all'altro davanti alla telecamera) negava, negava, negava, proclamandosi per due volte “innocente”. Vittima, lui, di processi mediatici. Negava la notizia che è invece stata poi confermata dalla Procura: accusato di rivelazioni del segreto investigativo nell'inchiesta di Trani. Non rivelazioni al pubblico del Tg1 (come ci si potrebbe aspettare da un giornalista, ansioso di divulgar notizie), ma in una telefonata privata verso palazzo Chigi, mentre ancora scendeva le scale della Procura. Che fretta... Sempre quella storia: quando proprio a Paolo Di Giannantonio, ora rimosso dal video, toccò leggere i titoli dell’edizione del 26 febbraio, quando David Mills venne appunto “assolto” dal Tg di Minzolini. Ma Di Giannantonio non ha firmato. Non è andato nella stanza di Francesco Giorgino (ora in attesa di prendere il posto della Ferrario), che raccoglieva “autografi”, come invece hanno fatto Filippo Gaudenzi (già promosso caporedattore centrale con delega alla cronaca e alla redazione Internet) e Mario Prignano (ex giornalista di “Libero” assunto pochi mesi fa come vice caporedattore del politico, e subito premiato a caporedattore responsabile di Internet). Prignano vanta un record: è stato lui a scrivere per primo “Mills assolto per prescrizione”, bisticcio incomprensibile di norme di legge.Al Tg1 sono passati molti direttori “con l'elmetto”: da Bruno Vespa dei tempi della “Dc editore di riferimento”, a Clemente J.Mimun. Tutti hanno voluto accanto a se' i più fidati. Nessuno ha mai scatenato la “caccia all'infedele” in redazione, come ora fa Minzolini. L'epigono, il meno accreditato, il più nervoso, che nasconde le notizie, le falsifica (sotto elezioni ha trasformato una - deprecabile - lettera di insulti al cardinale Bagnasco in una missiva con minacce di morte), spesso le tace, il direttore che ha trasformato il tg della sera in un rotocalco rosa. Si comincia a sentir dire che Minzolini esagera: anche la “normalizzazione” ha i suoi tempi. Si cominciano a sentir altri nomi per quella poltronissima, come Antonio Preziosi, giovane, misurato, che il premier aveva indicato per la direzione del giornale radio. Altra classe...P.S. In attesa di vedere Francesco Giorgino al tg delle 20,30, merita una segnalazione il fatto che il fratello, Nicola, avvocato di Minzolini (lo ha accompagnato al tribunale di Trani) ce l'ha fatta: è stato eletto sindaco di Andria.

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mercoledì 31 marzo 2010

Forse non si fa così...

Me l'avevano detto, eppure me l'avevano detto che “dopo” c'è il jet-lag. Sei fuori di qualche fuso... Barcolli. Io non ci credevo: “dopo”, dicevo, dormo! Altro che... “Vedrai, ti mancherà...”.

Sono in pieno jet-lag. Come se avessi fatto il giro del mondo tre volte e mezzo.

“Ti mancherà, la campagna elettorale, corri di qui, rispondi là, riunioni, volantini... Poi improvvisamente le ore vuote”: non sono sicura, sicurissima, che sia quello. Ho un mese di lavoro arretrato, la scrivania è un incubo, ho mollato la presa sulle amministrazioni e nessuno 'sto mese ha scucito una lira, di ore vuote non se ne parla.

Abbiamo consegnato la regione alla destra. Non sarà questo, piuttosto, il mio jet-lag? Io che vanto (ohssì, che lo vanto!) un appello al voto firmato Anpi e oggi faccio i conti con la ministra che cassa la Resistenza dai libri di storia. I fusi orari che mi mancano sono in questo abisso tra il “vento francese” e quello romano, tra Obama e Polverini.

Mi hanno detto che alle case occupate di via Spalla sta arrivando la corrente elettrica. Da quando sono andata da loro (ne ho scritto, in questo blog), sono saliti anche sul tetto dell'Acea. Mancavano pochi giorni alle elezioni, vento francese e aria di Bonino. Insomma: gli hanno dato l'allaccio, le ultime notizie che ho avuto sono che facevano una colletta per acquistare il cavo di collegamento. A dita incrociate. Anche gli occupanti di via Volontè (ho concluso la mia campagna elettorale insieme a loro, venerdì scorso) erano a un passo dalla soluzione del problema: un residence per anziani costruito (coi soldi della regione) e abbandonato, ci stanno da due anni. Ho di nuovo trovato bella gente in queste case, coi problemi delle collette, il cancello da rifare, il futuro da rimettere in piedi. A dita incrociate.

Eccolo, il jet-lag. Stavo imparando i loro problemi. I problemi dei consultori. I problemi della “pillola del giorno dopo” che i medici della mutua non segnano, i farmacisti non danno. Un popolo di pubblici obiettori con cui fare pubblici conti. Stavo imparando i problemi del cinema, quelli delle sale che chiudono, dei monopolii che imperano, dei precari che devono cercarsi altri lavori perché l'industria della settima arte è un'industria con la “disoccupazione a singhiozzo”, non si tira avanti.

Ho fatto la campagna elettorale tra autobus e metrò, la macchina non avrei saputo dove mollarla. Senza manifesti. Senza bugie. Forse non si fa così...

Chi è senza jet-lag scagli la prima pietra.

venerdì 26 marzo 2010

Una TV diversa è possibile

Il terzo polo c'è. In una notte l'Italia ha scoperto un'altra televisione: una tv collettiva di piazza; una tv “familiare”, sul solito schermo di Minzolini e Fede; soprattutto una tv condivisa, interattiva, che scardina le abitudini: la tv del web.

Michele Santoro, Marco Travaglio, Sandro Ruotolo, Vauro, insieme a Floris, a Gabbanelli, a Gad Lerner, insieme a Luttazzi e a Benigni e a Monicelli, insieme alle operaie dell'Omsa, alle ricercatrici dell'Ispra, insieme alla folla di Bologna, non solo hanno mandato in onda la più bella puntata di “Annozero”, ma hanno girato pagina alla storia della tv.

E stavolta, per quanto paradossale sia, ne sia dato merito anche a Berlusconi: perché è proprio per rompere la censura che sta attanagliando ogni fonte di informazione che si è messa in moto la catena di sant'antonio dei siti web, delle piccole tv, del tam-tam di immagini e parole che pervade la nostra vita. Un evento che non è soltanto un evento: lo diciamo sommessamente, ma nella morta gora dei media questa è una rivoluzione. Più di google. Più di youtube. Perché sfrutta l'ingegno tecnologico, l'invenzione dei new media, per dare vita per la prima volta a un'altra televisione. Che nasce libera. Libera come le prime tv locali alla fine degli anni Settanta. Come le tv di quartiere. Ma questa è tv che inonda l'etere: i dati d'ascolto di “annozero” sono strabilianti, il 13% d'ascolto registrato dall'Auditel sui media tradizionali (Sky al 6%, Current tv 2,44%, network locali al 6%. Ma anche Rainews24, rompendo l'embargo a Santoro, ha rimandato le immagini in differita della trasmissione). Soprattutto, però, la banda larga non è mai stata così stretta, perché era sul computer di casa che si seguiva, commentava, che si richiamavano gli amici a seguire la trasmissione. Anche Globalist ha rischiato di andare in panne, ha triplicato i contatti; così come è successo a Repubblica tv, con le sue 350mila connessioni. Ma erano centinaia i siti internet che rimandavano le immagini di Bologna, insieme alla pagina della diretta streaming http://live.raiperunanotte.it (che è arrivata a 125mila contatti unici): dal Corriere tv, al sito internet del Tg3, ai tanti, tantissimi siti e blog autoprodotti che rimandavano le immagini all'infinito. Non ha nessuna importanza sapere quanti eravamo davanti al computer ieri sera: nell'era di Berlusconi i numeri sono una variabile impazzita, come il milione di piazza San Giovanni a Roma. Fatto sta che stamattina sembra che l'abbiano visto tutti!

Una trasmissione che è già in replica, perché internet archivia senza neppure la fatica dell'”on demand”: le vignette di Vauro, l'intervento di Luttazzi, Monicelli, senza censure, autocensure, imbarazzi. Infinite repliche, infiniti clic.

Ora, ora che il terzo polo si è mostrato, nella rete del web e delle piccole tv, inizia un'avventura nuova. Il primo rischio è che la censura si abbatta come una scure anche qui. Basta poco. Basta abbandonare del tutte le politiche sulla banda larga, un problema che non va mai sulle prime pagine dei giornali, misconosciuto, vitale per la comunicazione nel nostro Paese, per il superamento del “digitale divide” che spacca in due anche l'Italia. Mentre Obama promette di connettere l'America (“100 mega in download e 50 in upload”), e fa di questo la sua grande scommessa sul futuro, noi siamo ancora a combattere con i 2MB e di internet ultraveloce si parla solo nei convegni. Peggio: gli 800 milioni di euro previsti per la banda larga sono congelati dal Cipe, anche se a richiederla è l'industria, che ne ha necessità vitale.

Ma ad averne necessità vitale è anche l'informazione, per sgusciar via dalla trappola mortale del duopolio Rai-Mediaset, che soffoca La7, che Sky non può scardinare. “Annozero”, si ricomincia di qui: mai titolo fu più premonitore.

Chissà, forse da domani riuscirò a scrivere il mio diario.


Volevo tenere un diario elettorale, è andata a finire che persino l'agendina che ho in borsa, quella dove segno la visita del dentista e le bollette in scadenza, è diventata un inestricabile campo di battaglia di appuntamenti saltati, cambiati, rivisti: altro che diario, altro che “campagna”, con mister B. (Bean?) che ogni giorno va all'assalto alla baionetta. Fino all'ultimo. Ieri sera era in programma una “festa” dei candidati della lista, con la musica: anche per conoscerci un po' meglio! L'ho passata sotto la Rai, donna-sandwich. Ma quale festa! Col premier che ha cacciato dalla Rai ogni voce “stonata”. Che colpo da maestro: via le trasmissioni dove qualcuno, anche per sbaglio, anche a “Porta a porta” poteva insinuare il dubbio. Le mani, saldamente, sull'informazione. Minzolini che fa crollare gli ascolti del Tg1, ma che continua a parlare alla pancia del paese, a quelli che guardano la tv “dove si accende”, perché le tecnologie non sono per tutti, e c'è chi da una vita alle 8 sente il tg1... I bar, gli autogrill, i ristoranti di paese...

Donna-sandwich, c'è sempre una prima volta... Sulla pancia portavo scritto un qualche anatema sull'occupazione della Rai da parte di mr. B (Bean?): anche ieri mattina, lui che può, lui che è premier, si è messo a menar fendenti contro tutto e tutti, urbe-et-orbi. Contro tutte. Le donne-politiche, dice, non si possono manco guardare allo specchio, dopo la Bindi, la Bresso. A parte il fatto che l'unico che rompe gli specchi quando ci si mette davanti è lui (ma come fa, la mattina, quando si lava i denti – se li laverà da solo? - a guardarsi in faccia?), la sua volgarità continua a contagiare i più deboli, democraticamente fragili, a farci vivere peggio il giorno.

Stavo con un mito, Sabatinelli, colui che si sdraiò davanti alla porta del tribunale: per farsi riconoscere sul suo “santino” elettorale si è fatto disegnare sdraiato. Ma come t'è venuto in mente di buttarti a terra? “Per controllare il faldone di Milione dal basso... Nella confusione sennò era troppo facile che lo facesse scivolare di mano in mano, per ritrovarlo su una scrivania. Dal basso, controllavo meglio”. A controllare noi che protestiamo, con scritti addosso i numeri della strabordante presenza televisiva di mr. B (Bean?), c'è un eccesso di polizia, mentre “là dentro” impuniti continuano a farlo strabordare. Al massimo finirà con una multa pagata coi soldi del canone. La giornata va a finire con il presidente Rai Garimberti che accetta di incontrare una delegazione “istituzionale”, solo onorevoli: quanto di più inutile possa accadere, visto che è Masi il direttore generale che tutto può. E tutto fa: a partire dalla cancellazione dell'informazione. Parentesi: visto che di Milioni ce ne son milioni, magicamente a un certo punto i cancelli della Rai – che fino ad allora avevano protetto gli uffici vuoti come un bunker inaccessibile – si aprono, scivolano sulle rotaie fino a spalancarsi. Gli addetti alla sicurezza impazziti. Un formicaio di agenti in borghese, in divisa, a far barriera... Qualcuno aveva schiacciato il pulsante sbagliato... Che pecioni!

Sì, vabbè, ma intanto c'è Santoro sul web... Dagli schermi dentro il palazzo di vetro si intravvede Rainews24: Santoro??!! Qualcuno anche qui ce la fa a forzare il silenzio.

Volevo raccontare, nel diario elettorale, la gente che ho incontrato ai volantinaggi. Largo Argentina, fermata dell'otto; Ferrovie Laziali; mercato di San Lorenzo. E' stata la parte più divertente della campagna elettorale (due gambe gonfie così!!!): tre mondi. A largo Argentina una signora tutta per bene prima ha rifiutato sdegnata il volantino poi, andandosene, a voce abbastanza alta perché sentissi, mi ha regalato un “Vaffanculo”. Sono rimasta di sale. Vota chi ti pare, ma come ti fa a venire in mente di insultare una persona che, comunque, ti sorride? Grazie mr. B. Quest' Italia non è la mia Italia. Ma ce n'è un'altra di Italia, anzi, ce ne sono tante, quelli che si fermano a parlare anche se votano altrove, chissà dove, quelli che non votano, non voteranno più, non hanno mai votato, ma hanno bisogno di raccontarlo, raccontarsi. Persino ascoltare. C'è anche chi si affretta a mettersi in prima fila: accaparrarsi una benevolenza (hai visto mai, questa può entrare in Regione...). Ma i problemi sono, comunque, veri: il lavoro che non c'è, la compagna che non può prendere la cittadinanza, lavora al nero, rischia di essere sbattuta al Cie (“Ma possibile che l'unica via sia sposarla?”). Sono gli stranieri, che votare non possono proprio, a mettersi subito a leggere, senza neanche aspettare di sedersi sul trenino verso la periferia: nei programmi elettorali c'è il loro futuro tra noi. Lo capisco. A San Lorenzo è una festa: li vogliono tutti, te li prendono dalle mani, li lasciano mettere nei bar, sembra di stare in un mondo normale. All'inizio mi vergogno un po': mi riconoscono in fotografia. Sì, sono io. “Ma se li dà da sola?” Mi sembra giusto metterci la faccia... Vecchi comunisti che non ne possono più. Ragazzini galanti che sostengono che la fotografia non mi rende giustizia (bugiardi!): ma non lo fanno per prendere in giro, si sta a parlare. Non sono i giovani della tv, questi sono quelli veri, che vanno all'università, che lavorano. Che votano o non votano, ma ci pensano, discutono. I vecchi parlano, i giovani chiedono. Oggi, chiusura di campagna. Sto andando al capolinea del Cotral, incontro con i lavoratori del trasporto. Stasera ancora un palazzo occupato, in via Volontè. Chissà, forse riesco a passare all'università a dare qualche volantino. Chissà, forse da domani riuscirò a scrivere il mio diario.

giovedì 25 marzo 2010

Sanità negata e medici al fronte


Entusiasmo (che altro?) quando - neppure troppo tempo fa - ho scoperto che per le bambine di oggi c'è un semplice vaccino contro l'HPV. Sequenza impronunciabile di consonanti, né va meglio col nome scientifico, Human papilloma virus; eppure è magnifica la sostanza della cosa: un vaccino per debellare i tumori al collo dell'utero... Ora la dottoressa mi spiega che c'è un problema: mancano le dosi di vaccino. Quest'anno tocca alle bimbe nate 11 e 12 anni fa, ma ci sono ancora quelle di 13 “in arretrato”... E' la Sanità senza soldi. Che rimanda la prevenzione.

Voglio capire qualcosa di più di questa Sanità del Lazio, fuori dalle carte, fuori dai numeri: sento i medici che ci son dentro fino al collo. Già ho parlato con il primario di medicina che si chiude a chiave nello studio per gonfiare le gomme alle carrozzelle del reparto, perché la burocrazia non contempla la gonfiatura, ma sgonfie... non camminano. Ma non sta bene un primario con la pompa della bici in corsia.

Ora sto seduta davanti a una “dottoressa al fronte”, anche senza esser mai uscita dai confini della città. La conosco da tanto. Si occupava degli extracomunitari. I problemi con i clandestini e il loro timore delle strutture pubbliche. Il rapporto medico-paziente tutto fiduciario. Le malattie che sembravano debellate. La ritrovo primario (primaria?): è tornata ai consultori, tra mamme e bambini.

Il marito brontola perché arreda l'ambulatorio come se fosse uno studio privato: ma ha ragione lei, come si fa a lasciare dei bimbi in sala d'attesa, con la paura della puntura (le prime vaccinazioni) senza un gioco, un quadro colorato alle pareti, qualche libro cartonato da sfogliare? Come si fa a fare le riunioni dei medici senza sedie? Fortuna che c'è Ikea. Perché altri fondi, non ci sono...

In sala d'attesa mi guardo intorno. Me la ricordo bene la prima vaccinazione a mio figlio, in un locale fatiscente, buio, dove non sapevo dove sedermi. Qui c'è luce e colore. I bimbi possono anche stare a terra!

Dal concepimento alla maturità. Ci sono le ragazze che vengono per la pillola del giorno dopo, perché sono tanti i medici “obiettori”, e anche i farmacisti. Non vogliono rogne. Ma il sabato, la domenica, quando i consultori sono chiusi? Diritti negati.

Ci sono i bambini del nido e i loro “disagi psicologici”, una volta venivano messi dietro la lavagna, adesso vengono seguiti, crescere è la cosa più difficile che c'è.

E' la medicina della prevenzione, i controlli, le visite a scuola, piccolini con gli occhiali o mandati a far ginnastica, le lezioni sul cibo e sul sesso. Ogni settore ha la sua “eccellenza”, qui la pagella ha voti alti. E' la sanità sul territorio, quella che va dentro le scuole, che viene a casa, che cura l'emergenza, che opera, che assiste. La Sanità senza soldi. In una Regione dove il “buco” della Sanità condiziona le elezioni. E soldi a fiumi nella burocrazia.

Non c'è la “mappa” regionale dei presidi sanitari: malati che devono spostarsi da un capo all'altro della città (o da una città all'altra) per analisi, esami, cure appropriate. Quello che c'è sono gli ospedali che chiudono. Le cure che costano troppo care. Il precariato degli “appalti” della salute. I sistemi di potere. Vallo a dire alle bimbe che aspettano di fare la loro vaccinazione “da grandi”, come hanno spiegato a scuola. Vallo a dire ai vecchi quando il ticket sballa il bilancio di fine mese.

domenica 21 marzo 2010

Acqua, oggi, vuol dire democrazia


Acqua. Acqua! Acqua pubblica... “Acqua libera”. La soddisfazione di lasciare il corteo per chiedere in un bar un bicchiere d'acqua minerale, stracolma di bollicine: carissima. E altri due di “acqua del sindaco” che a Roma, vivaddio, è pure buona: gratis.

Non sono le bandiere, stavolta, a dare colore alla manifestazione: non il rosso, non il viola. Il fiume di gente che scende per le strade di Roma sceglie l'azzurro. Si riappropria, finalmente, dell'azzurro.

In attesa di poter esortare, e gridare di nuovo, senza fraintendimenti, anche “forza, Italia”.

Telecamere a caccia di politici eccellenti, perché la cronaca (come è d'uso e abuso) si fa sulle loro dichiarazioni: ma non qui, questa è una manifestazione che dilaga come l'acqua, mille sigle a organizzarla, onde di gente – di giovani! - che quello che hanno da dire lo dipingono sul volto. “Acqua bene comune”. Gocce d'acqua azzurra sul viso. Goccioline di bimbi che giocano nel corteo, perché questa manifestazione è tutta per loro: per la loro acqua, per la loro aria, per la loro terra, domani.

I gonfaloni dei comuni: tanti. Anghiari, Lanuvio, Grotte, Napoli, Gubbio, Modica, Vittoria, Bassiano, Castel Madama... ce ne sono ancora, affastellati quasi, in prima fila... E' la Sicilia degli scandali dell'acqua. Sono i paesi su cui incombe una privatizzazione che non dà acqua buona ma la dà cara. Sono i sindaci che non ci stanno, con le fasce tricolori.

Berlusconi due piazze più in là sostiene che ci sono un milione di persone ad ascoltarlo, tradito dalla sue stesse telecamere (per la questura: 150mila). E allora, quanti siamo in questo fiume allegro di colori, di suoni? Settemila dice la questura: ma dai!!! Un'ora e dieci di corteo, e quando i gonfaloni entrano in piazza Navona ancora si sfila in via Cavour...

“Acqua, oggi, vuol dire democrazia”.

venerdì 19 marzo 2010

Il corteo del premier, il corteo dell'acqua... (e il rischio-provocazioni)

DI SILVIA GARAMBOIS
(DA WWW.DAZEBAO.ORG)

ROMA - L'Arco di Costantino, costruito per celebrare i fasti della battaglia di Ponte Milvio in cui venne sconfitto Massenzio, sabato sarà la porta che separa due Italie: da un lato il corteo del premier che non vuole perdere potere, dall'altra il corteo dei cittadini che non vogliono perdere anche l'acqua. I primi che risalgono dal Circo Massimo verso piazza San Giovanni, i secondi giù per i Fori Imperiali verso piazza Navona.

Due serpentoni di gente ad attraversare la città, a un palmo l'uno dall'altro. E il premier che continua a ripetere che è “l'amore contro l'odio”... (ma Alemanno non aveva detto: mai più due manifestazioni lo stesso giorno?).

Fin qui, questa del corteo di Berlusconi è stata una telenovela: la manifestazione che ha fortissimamente voluto per rattoppare l'immagine del “partito del fare” dopo le pecionate di mr. Milione, è stata sballottata nel calendario in modo imbarazzante. Un boomerang: il sabato, il sabato no è già occupato (il “protocollo” di Alemanno parla chiaro: evitare “la concomitanza di manifestazioni”); la domenica, la domenica no c'è la maratona...

Poi è diventato un ennesimo atto di arroganza: Berlusconi non manifesta di lunedì. E tra i maratoneti della domenica e il popolo dell'acqua (che per altro da lungo tempo avevano prenotato piazze e strade), ha scelto il confronto con i secondi. Con quelli che vogliono “l'acqua del sindaco”, come dicono a Roma, e non quella delle multinazionali. E Alemanno non ha battuto ciglio.

Un risultato Berlusconi lo ha già portato a casa: il suo comizio con i 13 candidati Presidenti schierati “oscurerà” completamente i suoi competitor, almeno nei tg.

Adesso, tempo di vigilia, si studiano i percorsi... Tra un corteo e l'altro un tiro di schioppo. Il Prefetto ha “concesso” al corteo dell'acqua di passare dai Fori Imperiali, nonostante i lavori in corso per la maratona del giorno dopo, anziché fare il giro lungo a lambire piazza San Giovanni... Per evitare almeno che le due manifestazioni entrino in contatto, i cortei si intreccino, i manifestanti si confondano.

E tutto ciò a otto giorni dalle elezioni, nel clima surriscaldato della campagna elettorale, del pasticcio del Pdl nella presentazione delle liste, dei bavagli all'informazione, delle intercettazioni, degli scandali.

Su facebook è già partito il tam-tam del “popolo dell'acqua”: attenti alle provocazioni.

mercoledì 17 marzo 2010

“A sgombrarmi sono arrivati i miei colleghi"

I nuovi invisibili lavorano accanto a noi. La signora che salutiamo con un cenno in ufficio, con cui scambiamo due parole appena a scuola. Questa campagna elettorale sta diventando un viaggio in una città dimenticata: ultima tappa, le case occupate di via Erminio Spalla. Spalla era un campione di pugilato di bell'aspetto e fotogenico, finì al cinema, più di cinquanta film. In “Miracolo a Milano” di Zavattini-De Sica era un barbone di periferia. Adesso nella “sua” strada, in un palazzo tutto di vetro dove si soffoca d'estate e si trema d'inverno, abitano cento famiglie che non sanno dove altro andare. Quattrocento persone. Diversi bambini sono nati qui: Federico che ha venti mesi, bello da cartolina, è il primo ad aver visto il mondo qui dentro. Il capostipite. Come gli altri, è avvolto in una copertina.

Scherzano le donne mostrando il pancione: “E' che fa freddo qui dentro, è buio”.

E' buio, perché la luce non c'è . L'Acea vuole un'autorizzazione, la proprietà non ci pensa proprio, la protezione civile comunale parla di “allaccio umanitario”, ma manca sempre qualche firma e si va avanti così. Non ci sono stufette elettriche. Non ci sono condizionatori. Un generatore che puzza di nafta e dà noia ai vicini per il rumore permette di avere qualche ora di corrente elettrica: mai prima delle 14, mai di notte. Per la lavatrice si fanno i turni, sennò salta tutto. Anche per il frigorifero: un bel problema per il latte dei bimbi, per le medicine degli anziani. Dove siamo? Roma, quartiere Garbatella.

Storie tutte diverse e tutte uguali. Non ce l'hanno più fatta con l'affitto. Sfrattati senza un posto dove andare. Giovani coppie. Anziane signore. Famiglie di immigrati. Aspettano una casa dal Comune, che non arriva. Non è che qui la vita sia a costo zero: solo per la nafta del generatore spendono tra 3.500 e 5mila euro al mese, ognuno mette una quota. E poi hanno dovuto spendere soldi e lavoro per recuperare un po' di dignità sotto questo tetto.

Il palazzo dove stanno è di un “furbetto del quartierino”, il gruppo Statuto. Era sotto sequestro da dieci anni quando sono entrati, nel maggio del 2008. Dentro, neppure i tramezzi. Gli ultimi piani sfondati, trasformati in paludi, con le rane. Nei piani bassi i topi. Raccontano che hanno derattizzato. Aggiustato. Tirato su tramezzi. Diviso in metri quadri, proporzionali ai nuclei familiari: 30 metri ai single, di più via via che la famiglia cresce. All'inizio nel quartiere hanno anche protestato, denunciato l'occupazione.

Aspettano una casa con un affitto buono per le loro tasche, c'è chi ha già raggiunto i fatidici “dieci punti” ma è ancora qui, un pellegrinaggio continuo a controllare le graduatorie... e intanto hanno bisogno della luce. Non si fa nulla senza la corrente: niente phon per asciugarsi i capelli. Niente acqua calda per lavarsi. Niente aerosol per l'asma... Me lo racconta una signora offrendomi una fetta di dolce, scherziamo un po' sulle calorie, i bambini si avventano sui biscotti.

Gli uomini si sono arrampicati sul ponteggio della ristrutturazione della chiesa di piazza Madonna di Loreto, un paio di mesi fa, quando il freddo era più freddo, perché finalmente qualcuno li chiamasse a un “tavolo”: comune, protezione civile, Acea, prefettura. Ma siamo sempre lì: assicurazioni, interventi umanitari, ma non si è visto niente.

Loro, chi sono? Quelli che incontro – una quarantina - sono gente di tutti i giorni, invisibili col loro dramma: “A sgombrarmi sono arrivati i miei colleghi. Io lavoro proprio in quegli uffici; quando mi hanno vista hanno detto: tu?... Io....”.

martedì 16 marzo 2010

Ballarò ricomincia, ma dalla strada

Il 17 marzo c'è “Ballaro”: Giovanni Floris ospita un “faccia a faccia” tra i candidati presidenti Mercedes Bresso e Roberto Cota. E poi ancora il 21, e il 22, e il 24... Un golpe, la presa del potere televisivo? Per carità: il Consiglio d'amministrazione Rai ha suonato fino all'ultima nota il suo “de profundis” sulle trasmissioni giornalistiche. No e poi no: checché ne pensi il Tar, l'Agcom e persino Napolitano... Tv vietata, “Ballarò” va per strada. Ma non molla.E' un “Giro d'Italia” nelle sale messe a disposizione ora dalle associazioni dei giornalisti (a Torino), ora in un auditorium (all'Aquila, dove il 21 ci sarà una “festa spettacolo” dedicata ai temi della ricostruzione), all'università (a RomaTre il 22 confronto tra Eugenio Scalfari e Pierluigi Battista su “Rapporto tra comunicazione, istituzioni e giornalismo”), in un liceo (è il Fermi di Cosenza, dove il 24  due “squadre” di studenti dibattono sui temi del futuro del Mezzogiorno).“Ballarò” è il nome del mercato di Palermo, e “Ballarò” torna da dove tutto è cominciato, lo scambio di opinioni in città, nei luoghi di aggregazione. Lontano dalla tv.Anche Michele Santoro scende in strada con la sua trasmissione. Il 25 marzo “Annozero” è a Bologna, al PalaDozza. Una  manifestazione per la libertà di espressione con un titolo che è già un programma: “Rai per una notte”.
 

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sabato 13 marzo 2010

Confermato: chiude anche NeaPolis

“In attesa di cortese smentita”, come diceva Antonello Piroso nella sua trasmissione di La7 (che, per inciso, non sta andando in onda): è vero davvero che c'è un'altra trasmissione “di servizio” della Rai in chiusura? Stiamo parlando di NeaPolis, rubrica della TgR, in onda dal lunedì al venerdì alle 15 su Raitre, che dà notizie del “nuovo mondo”, quello di internet, accompagnando lo spettatore televisivo dentro “l'altra metà del video”.

Una trasmissione così non elimina certo il “digitale divide”, ovvero la forbice che si allarga sempre più tra chi si affaccia alla finestra aperta sul mondo del web e chi, invece, non ne ha occasione e possibilità. Si tratta di un problema mondiale, che crea un nuovo scarto culturale tra mondo ricco e mondo povero, e che anche nei nostri confini nazionali segna sempre più le differenze tra chi ha strumenti culturali e di comunicazione e chi no.

NeaPolis ha però l'ambizione di far conoscere che esiste un mondo web, dai confini sempre più aperti, anche a chi non ha familiarità con internet: racconta le censure in Cina e la digitalizzazione del nostro patrimonio di libri; le novità tecnologiche e i siti più interessanti; istruzioni per l'uso e musica; video e videogiochi. Insomma, tra informazione e curiosità, una vera alfabetizzazione al computer, con lo stesso spirito del maestro Alberto Manzi ai tempi di “Non è mai troppo tardi”.

Perché mai alla Rai viene in mente di chiudere una trasmissione così? Non vorremmo dover pensare troppo male...

venerdì 12 marzo 2010

L'Anpi per le elezioni nel Lazio


NOTA DEL PRESIDENTE MASSIMO RENDINA


Le elezioni regionali stanno assumendo un carattere che trascende l'ambito amministrativo volendo la compagine governativa dare loro significato politico.
L' ANPI non si sottrae a tale sfida pur ritenendola impropria e provocatoria.
Confida perciò nei candidati al Consiglio Regionale Del Lazio presentati dai partiti di opposizione, candidati che per esperienza e capacità corrispondono alle esigenze peculiari dell'istituzione regionale, ma che sono anche figure rappresentative della cultura democratica che il centro destra sta sovvertendo con l' intento di istaurare in Italia un regime autoritario parafascista. L'ANPI, per mandato storico resistenziale impegnata nella difesa e promozione dei valori costituzionali, presidio delle articolazioni democratiche, segnala pertanto agli iscritti e a quanti ne condividono gli ideali i candidati a consiglieri regionali che appartengono alla nostra associazione, nella convinzione che possano meglio assolvere ai compiti cui saranno delegati garantendo le libertà fondamentali espresse dalla Guerra di Liberazione. Pur nel rispetto delle scelte elettorali, come è nostro costume, segnaliamo per l'elezione al Consiglio del Lazio FABIO NOBILE membro del nostro coordinamento delle forze democratiche e SILVIA GARAMBOIS, figlia di un partigiano, giornalista professionista, già segretaria dell'Associazione della Stampa Romana.

giovedì 11 marzo 2010

Diario elettorale: oggi iniziativa pubblica sulla Costituzione.

Si riparte da qui: un libricino piccolo così, scritto facile facile.

Bisognerebbe farle un po' di pubblicità : “Sta comodo in borsa, persino in tasca. Si può portare in tram e in metrò. Si legge a capitoletti, tanti quanti sono le fermate del bus, senza perdere il segno, senza lasciarsi scappare le emozioni...”.

Secondo me dalle parti di Largo Chigi (e non solo) pensano che sia uno di quei tomi rilegati che serve il facchino in livrea per portarlo. E per leggerlo, almeno due lauree. Macché: nessun codicillo. Un buon italiano, domestico addirittura. Il linguaggio di casa. “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Persino le virgole sono al posto giusto.

Se devo proprio scegliere, a me piacciono soprattutto l'articolo 21 e il 36.
Il 21 racconta che la gente è libera di pensare (che già è una bella cosa, ora che è finito il Grande Fratello), di divulgare le proprie idee, di scrivere. I giornali sono liberi: non di dire fanfaronate, di spararle grosse, ma di diffondere notizie e pensieri. “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

L'articolo 36 invece mi fa sempre venire una rabbia che mi chiude lo stomaco: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Il lavoro che dà libertà e dignità: anche economica! Tutte le volte penso ai precari. Agli atipici. Ai collaboratori a partita IVA. Ai ricattati sul lavoro in tutti i modi e i cavilli. Anzi: pensavo. Adesso è arrivato il “disegno di legge 14441 quater B” trasformato in legge con la velocità di un fulmine: le conciliazioni. E' la legge che manda in soffitta l'art.18 dello Statuto dei lavoratori, quello sui licenziamenti. Non c'è più un giudice a decidere se è giusto o no cacciare un lavoratore dalla fabbrica, dall'azienda: adesso basta un atto amministrativo. Una “firmetta”. E siamo tutti precari.

Vorrei però ripassare quell'articolo 117 in cui si parla della potestà legislativa dello Stato e di quella delle Regioni. Non mi sto portando avanti col lavoro: è che nell'elenco di quel che spetta allo Stato legiferare (leggi elettorali relative a organi dello Stato; referendum statali; elezioni del Parlamento europeo) la legge elettorale regionale proprio non c'è... Ma che si sono sognati quella notte?

Ora me la metto in borsa, la Costituzione: io viaggio parecchio in autobus.