martedì 2 marzo 2010

MI CANDIDO PERCHE' I PROBLEMI DELLE DONNE NON SIANO SOLO SLOGAN ELETTORALI

(www.dazebao.org)

Intervista di Alessandro Cardulli

La crisi colpisce tutte le famiglie, ma le donne di più! E se questo vale in tutta Europa, nel nostro Paese, dove le politiche di supporto al lavoro femminile sono praticamente inesistenti, la si...tuazione rischia di andare fuori controllo. Oltre a dati di disoccupazione record (quasi il 54% delle donne non ha un lavoro remunerato), le italiane hanno stipendi più bassi degli uomini e carriere bloccate: solo i dati del Lazio sono da capogiro: tra le oltre 80mila lavoratrici in aziende medio-grandi è risultato che solo l'1,7% ha ruoli dirigenti! Sono dati che indicano una condizione ancor oggi intollerabile”.

Silvia Garambois, giornalista dell’Unità per 25 anni, dove è stata caporedattore, oggi collaboratrice tra l'altro di Dazebao, ha avuto ruoli dirigenti nella Federazione nazionale della Stampa e, per due mandati, è stata Segretaria della Associazione Stampa Romana, il sindacato dei giornalisti del Lazio. Attualmente fa parte della Commissione pari opportunità della Fnsi. Si è impegnata a fondo sui problemi della discriminazione delle donne, che esistono anche nel giornalismo. Ha deciso di candidarsi per la lista della Federazione della sinistra alle elezioni regionali del Lazio. Da qui partiamo nella nostra intervista.

Cosa ti ha spinto ad entrare direttamente in politica?

"Occuparsi dei problemi delle donne non può più essere solo uno slogan elettorale: si parte da qui per ridare anche dignità economica alle famiglie. Come pretende la Costituzione. Per questo voglio dare concretamente il mio contributo, se vengo eletta, in una istituzione che può svolgere un ruolo significativo. Ai dati cui hai fatto riferimento, infatti, se ne posso aggiungere altri che danno il quadro della situazione nella regione. A partire dalle differenze di stipendio, che sono molto consistenti: un'operaia di Viterbo ha la busta paga “tagliata” in media del 65% rispetto ai colleghi maschi, mentre a Roma un'impiegata percepisce il 23% in meno e un'operaia il 31,3% in meno. E questi sono dati ufficiali, ricavati dalle denunce delle aziende all'Agenzia regionale del lavoro. Le motivazioni sono sempre le stesse: carriere bloccate, oltre che da pregiudizio, dalle maternità e il fatto che il part-time è soprattutto “cosa da donne”: basti pensare che nel pubblico impiego il part-time femminile tocca la vetta dell'85%".

Concretamente una Regione cosa può fare, visto che già deve rimediare ai vuoti della politica del governo e che si trova in difficoltà finanziare molto pesanti, come nel Lazio, dove Storace ha lasciato dieci miliardi di debiti per la sanità?

"Parto dall'idea che non ci sono solo le Grandi Opere per rimettere in moto il Paese: l'intervento sul welfare non è necessariamente assistenziale, può al contrario essere volano di nuova e buona occupazione. Per molte donne la rinuncia a un lavoro pieno (e quindi anche a una carriera) è una necessità per conciliare il lavoro e le cure da dedicare alla famiglia, ai figli, spesso anche agli anziani. Ed è qui che deve intervenire il “pubblico”, come si fa in Francia, come si fa in mezza Europa, come non si fa in Italia: servono leggi nazionali ma serve anche una normativa regionale, di supporto al lavoro e alle carriere delle donne. Che poi significa asili nido, servizi agli anziani, una rete di supporto alla famiglia. Nuovo lavoro. In Toscana, per esempio, qualcosa si muove..."

Una volta si diceva che la donna è l’angelo della famiglia. Ora ci sembra più proprio dire che è la schiava della famiglia. E’ lei che deve rinunciare spesso al poco lavoro che c’è, ai sogni, ai progetti personali. C’è un ruolo del pubblico, delle istituzioni che devono intervenire: ma non ritieni che ci sia anche un problema culturale perché questa battaglia veda insieme uomini e donne?

"Che il lavoro familiare sia scaricato soprattutto sulle donne è, da noi, anche un problema culturale, non c’è dubbio: per fortuna nelle nuove generazioni c'è maggiore condivisione negli impegni di casa. Ma non c'è da meravigliarsi se in Italia si rinuncia a “metter su famiglia” e la natalità è bassa. Oltre al precariato, che frena tante coppie, sulla vita delle famiglie di lavoratori si scaricano infatti problemi enormi: c'è in partenza il sacrificio del lavoro, in parte o del tutto (una donna su quattro lo lascia quando nasce un figlio!) e restano poi le difficoltà di affrontare senza altro aiuto che quello dei nonni, quando ci sono, la crescita dei bambini. Va a finire che nel nostro Paese, dove la famiglia viene messa al centro di tutte le campagne elettorali, in realtà le coppie vengono abbandonate a se stesse. Il risultato? In Francia, dove le donne al lavoro sono molte, molte più che in Italia (oltre il 10% in più), ma per la famiglia c'è una normativa seria di supporto, ogni coppia ha in media 2 figli. Noi ormai siamo a... 1,33! "

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