Le mamme italiane sono famose nel mondo come iper-protettrici, con i piccoli attaccati alla gonnella: fatto sta che quando una donna in Italia decide di “metter su famiglia” il lavoro di cura familiare ha la meglio su ogni altra attività. E il numero delle mamme ufficialmente “inoccupate”, tagliate fuori dal mondo del lavoro (ma in realtà travolte dall'impegno domestico, tra pannolini, pappette e letti da rifare), cresce inesorabilmente con l'aumentare del numero dei figli: numeri da record (negativo) rispetto alla realtà europea, soprattutto quando la famiglia diventa numerosa. Basti pensare che se in Olanda 70 mamme su cento con tre o più figli continua a lavorare (e in Francia sono comunque 52 su cento), da noi non più di 42 mamme su cento riescono ad avere “anche” un'altra occupazione, oltre alla cura della propria numerosa famiglia!
Perché? Sono veri tutti i luoghi comuni che perseguitano le donne italiane, “mammone” per antonomasia? O c'è dell'altro...
Secondo i dati forniti al Senato dalla vicepresidente dell'Istat, Linda Sabbadini, è quello che non c'è a inchiodare le mamme d'Italia tra le mura domestiche. Se devono (o vogliono) lavorare, nonostante la prole, o vengono in soccorso i nonni o son dolori. Addirittura il 70% dei bambini tra i 3 e i 5 viene affidato ai nonni: e comunque anche quando i figli sono più grandicelli e vanno a scuola, sono sempre i nonni a dover intervenire (nel 65% dei casi), per accompagnarli e seguirli.
Ci sono anche i sogni in fumo nelle indagini dell'Istat, che ha scoperto come sia frustrato nelle donne (e nelle coppie) il desiderio di metter su famiglia: più della metà non riesce ad avere i figli che desidera. O il lavoro o i bambini. Come sempre, chi più facilmente realizza i propri progetti appartiene alla classe agiata. E' più difficile per le operaie, che spesso si devono rifugiare nel part-time per conciliare casa e lavoro; praticamente impossibile per le precarie, a meno di rinunciare all'occupazione, uscire persino dalle liste di disoccupazione e andare a ingrossare le fila delle “inattive”.
Un Paese che si rammarica della bassa natalità, almeno per questo, dovrebbe cercare di darsi regole che aiutino le donne e le famiglie. Un welfare in grado di sostenere – economicamente e praticamente – il lavoro delle donne, garantendo anche una rete di servizi che parta dai “nidi” per i più piccoli, considerati oggi “troppo cari”, “troppo lontani”, “troppo scomodi negli orari” da oltre il 20% delle famiglie che non li hanno iscritti. Per non parlare di quel 5% che denuncia: “non me lo hanno accettato”.
lunedì 15 febbraio 2010
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1 commento:
La verità è che in questo paese queste problematiche che citi nel post non si vogliono prendere in consierazione. Oppure se si trattano argomenti del genere non ci si mette mai dalla parte del lavoratore, ma sempre da quella di chi si "degna" di darci un lavoro. Manca totalmente un progetto di politica di welfare e i risultati sono quelli che abbiamo di fronte. Prendiamo l'esempio dell'acquisto di una prima casa da parte di una giovane lavoratore, oppure di un lavoratore trentenne monostipendio da mille euro... risposta delle banche "non diamo mutui al 100%", aiuti zero... attenzione io non parlo di assistenzialismo ma di giustizia sociale.
Vorrei segnalarti il caso del sig Luigi Celori candidato per il pdl alle regionali di Roma che ad ogni suo comizio o incontro elettorale distribuisce nientemeno che calendari del duce... e meno male che nella costituzione c'è scritto che é vietata la riscostruzione del partito fascista.
saluti e buon lavoro
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