sabato 20 febbraio 2010

Dove porta la precarietà

Ha usato un foglio delle consegne, non sarebbe servito più a niente. Dietro, nella parte bianca, ha scritto “scusa mamma”. E si è ucciso. A 28 anni. Nell'età in cui non si riesce ancora a trovare uno straccio di lavoro, lui già lo stava perdendo, perché la sua cooperativa non aveva più commesse. Si imballavano i macchinari, finiva così.

La tragedia di Vinovo, alle porte di Torino, in quell'azienda di nove persone (soci, amici), ha un'epica ferocia: un ragazzo che invoca la madre per l'ultima volta, nel momento in cui si arrende alla paura. Paura di non lavorare. Paura che stringe il cuore, non lascia immaginare futuro.
Eccola, brutale, infame, la “grande crisi” del Piemonte, con la disoccupazione che nel 2009 schizza a “più 40 per cento”, con le occasioni di lavoro ai Centri per l'impiego calate di centomila unità. L'Osservatorio regionale li aveva diffusi appena da qualche giorno quei dati, ai primi di febbraio: Torino e il Nord Ovest con la disoccupazione che tra i giovani arriva al 19%, mentre la media del Nord del Paese è intorno al 5,5%.

Torino dove sono le piccole imprese a non farcela, quelle come la cooperativa a cui la danese Carlsberg – cliente unico - aveva tolto l'appalto da installatore di spillatori di birra, scegliendo di passarla alla multinazionale Coca Cola. E come potrebbe la “Tecnodrink” di Vinovo competere con la Coca Cola? La grande industria stringe le fila, affronta il momento di crisi mondiale affilando le armi della concorrenza, fa terra bruciata intorno. Il 77,5% dei disoccupati nelle liste di mobilità in Piemonte arriva dalle piccole imprese. Non ci sono neppure gli ammortizzatori sociali per una azienda delle dimensioni della “Tecnodrink”, non fosse per la Regione che interviene in prima persona, per quattro mesi assicura una cassa integrazione.

L'occupazione in Piemonte nel 2009 si è “ridotta di 20mila addetti”, dicono i dati ufficiali: ventimila persone, ventimila famiglie, ventimila storie. 182 milioni di ore di cassa integrazione in un solo anno, in una regione di 4milioni e 200mila abitanti significa che la “grande crisi” è sotto casa, dentro casa. E quell'ultimo biglietto di scuse di un ragazzo che non ce l'ha fatta ad affrontare questa battaglia, fa venire le lacrime agli occhi. Anche di rabbia.

da www.radioarticolo1.it

2 commenti:

la Volpe ha detto...

Questa tragedia fa il paio con la notizia dell'imprenditore suicida in Veneto disperato perché da 4 mesi non riusciva a pagare gli stipendi perché le imprese debitrici si rifiutavano di pagarlo con motivazioni tecniche cavillose. Poi dicono dei mali del comunismo. Il liberalismo è morto, eppure i liberali non se ne sono accorti, come quel cavaliere nella Gerusalemme Liberata: "Il poverin che non se n'era accorto, ancora combatteva ed era morto!"

Silvia Garambois ha detto...

I suicidi non entrano nelle classifiche dei morti sul lavoro. E quasi sempre non finiscono sui giornali: vecchia regola, per evitare emulazioni. Ma qui l'emulazione è la disperazione...