mercoledì 30 giugno 2010

Morire di fatica

Una calda giornata d'estate, il mare, gli ombrelloni, il sole, le creme abbronzanti. E gli ambulanti, mercanzia da pochi euro, vestiti, orologi, ciambelle da mare. Negozi ambulanti lungo il nastro infinito della spiaggia. Borse e borsoni stracarichi di merce, aquiloni trascinati in volo.

Un occhio distratto alla merce. Un no infastidito, non ho soldi, non ora. Capannelli di donne che provano vestiti e cappelli, per passare il tempo, la prossima volta che passa, vedremo. Chilometri di spiagge infinite. E poi, un cuore che crolla. Si strappa. Si ferma.

Sardear Jahangir aveva 33 anni, veniva dal Bangladesh, si è accasciato sulla spiaggia di Jesolo in un giorno di sole, le sue mille mercanzie sono cadute insieme a lui. Morto di fatica. Di fatica, si muore. La comunità del Bangladesh ha fatto una colletta per farlo tornare a casa, almeno ora, perché sia la sua famiglia a dargli l'ultimo saluto.

La notizia è un flash. C'è un'Italia che urge: è quella del lavoro, della manovra, della combattività ritrovata. C'è un'Italia che fa ribollire il sangue, quella degli Scajola, dei Brancher, dei Sepe. Ma la storia di quel giovane caduto sotto il peso della sua mercanzia, morto di fatica tra la gente in vacanza, è un chiodo in testa. Troppo facile e inutile la retorica. Anche i nostri migranti crollavano di fatica nelle miniere, ne morivano. E altri nuovi migranti non ce la fanno nei campi del sud, “spariti”, senza che la notizia arrivi ai giornali.

Sardear non entrerà, temiamo, neppure nelle statistiche dell'Inps sui morti sul lavoro, semplicemente perché non aveva diritti. Morire arrangiandosi a vivere. Abusivo nella vita e nella morte. Una fatica abusiva.


(da www.radioarticolo1.it)

1 commento:

Marte ha detto...

E a fatica si trovano anche le parole per dire che maledizione sia la povertà.
L'essere miserabili è ben diverso, quello riguarda noi che non sappiamo, non vediamo, non diciamo.