lunedì 26 luglio 2010

I numeri parlano

I numeri, quando si leggono, vanno messi tutti in fila: senza perderne nessuno. Perché i numeri sono strani, hanno il vizio di scomporsi e ricomporsi sulle lavagne (avete presente la sigla del telefilm “Numbers”? Un gioco di radici quadrate e cifre allo specchio…). Ma se si acchiappano e costringono nero su bianco, i numeri diventano volti, persone, fatica.

E in questo mese di luglio di numeri ce ne sono tanti che roteano in
censimenti, indagini, relazioni…


Bella cosa, ad esempio, scoprire che l’Istat ha censito che nel 2009 i poveri non sono aumentati. Quanti? Settemilioni e 810mila. Anche le famiglie in “povertà assoluta”, più o meno, sono sempre le stesse: 1.162 mila (il 4,7% delle famiglie residenti). Cinque italiani su cento. Uno ogni venti. Ogni cifra dopo la virgola è qualche persona in più che incrociamo per strada, al mercato, o quando giriamo la testa dall’altra parte se la vediamo rimestare nei cestoni delle verdure scartate.

Qualcosa, però, cambia al Sud: quelli che non hanno i soldi per una vita
minimamente accettabile salgono al 7,7%. Chi sono? L’Istat dice che la povertà assoluta aumenta - soprattutto al Sud - tra le famiglie che vivono con un guadagno operaio, sia il padre, o la madre, o un figlio a portare a casa il reddito. Il rapporto Svimez aggiunge che una famiglia meridionale su 5 non ha i soldi per andare dal medico e una su 5 non si può permettere di pagare il riscaldamento.

L’Ocse è anche più severo: sostiene che i salari italiani sono agli ultimi
posti tra quelli dei paesi avanzati. Va peggio solo in Polonia, in Ungheria, in Grecia…

L’Inail dà invece numeri che dovrebbero suonare come “buone notizie”: sono diminuiti gli incidenti sul lavoro. Del 10%. Sono diminuiti anche i morti sul lavoro: quanti in tutto? 1050. Mille e cinquanta famiglie distrutte.
Una strage.

Ma comunque, avverte l’Inail, 70 in meno rispetto all’anno precedente. E’ dall’inizio della crisi che queste cifre si contraggono: ma non è stato fatto nulla, proprio nulla, sul fronte della sicurezza. La spiegazione è un’altra.

Negli scorsi giorni, infatti, la Cgil ha fornito altre cifre da scrivere sulla
lavagna: quelle sulle cassa integrazione. Nel 2010, finora, i lavoratori in
cassa integrazione sono 660mila. Le decurtazioni del reddito sono pari a 2,4 miliardi di euro. Il tasso di disoccupazione (se si considera anche la Cig) passa dal 9,1% al 12,1%.

Calano gli incidenti? Cala l’occupazione! Si apre, ancora, di nuovo, la
forbice tra Sud e Nord. Si riapre quella tra occupazione femminile e maschile. Quella tra genitori e figli (il Cnel, nel suo “Rapporto sul lavoro 2009-2020”, dice che trovare una occupazione, per chi a meno di 25 anni, è tre volte più difficile rispetto ad altre fasce di età).

Ancora l’Inail racconta che aumentano le malattie professionali: si impennano quelle dell’apparato muscolo-scheletrico. Sono le malattie della fatica. Fisica. Nei campi, ma anche davanti al computer (“sindrome del tunnel carpale”). Chi il lavoro ce l’ha, s’ammala di lavoro per non rischiare di perderlo.

C’è una montagna di numeri sulla lavagna. Prima che qualcuno arrivi col
cancellino diamo loro almeno un nome: questi sono i numeri della crisi. I
numeri che non entrano nella manovra economica del Governo ma che raccontano l’Italia nel profondo delle sue incertezze, delle difficoltà che crescono. I numeri veri, che per strada hanno il volto delle persone. Degli amici. Il nostro.

(da www.radioarticolo1.it)


2 commenti:

Bob Bulgarelli ha detto...

Ottimo resoconto, Silvia. Di tutto ciò si sentiva parlare qualche volta ad Annozero. Sui tg non se ne fa parola. Eppure è la realtà che ci circonda.

Silvia Garambois ha detto...

Grazie, Roberto...