mercoledì 31 marzo 2010

Forse non si fa così...

Me l'avevano detto, eppure me l'avevano detto che “dopo” c'è il jet-lag. Sei fuori di qualche fuso... Barcolli. Io non ci credevo: “dopo”, dicevo, dormo! Altro che... “Vedrai, ti mancherà...”.

Sono in pieno jet-lag. Come se avessi fatto il giro del mondo tre volte e mezzo.

“Ti mancherà, la campagna elettorale, corri di qui, rispondi là, riunioni, volantini... Poi improvvisamente le ore vuote”: non sono sicura, sicurissima, che sia quello. Ho un mese di lavoro arretrato, la scrivania è un incubo, ho mollato la presa sulle amministrazioni e nessuno 'sto mese ha scucito una lira, di ore vuote non se ne parla.

Abbiamo consegnato la regione alla destra. Non sarà questo, piuttosto, il mio jet-lag? Io che vanto (ohssì, che lo vanto!) un appello al voto firmato Anpi e oggi faccio i conti con la ministra che cassa la Resistenza dai libri di storia. I fusi orari che mi mancano sono in questo abisso tra il “vento francese” e quello romano, tra Obama e Polverini.

Mi hanno detto che alle case occupate di via Spalla sta arrivando la corrente elettrica. Da quando sono andata da loro (ne ho scritto, in questo blog), sono saliti anche sul tetto dell'Acea. Mancavano pochi giorni alle elezioni, vento francese e aria di Bonino. Insomma: gli hanno dato l'allaccio, le ultime notizie che ho avuto sono che facevano una colletta per acquistare il cavo di collegamento. A dita incrociate. Anche gli occupanti di via Volontè (ho concluso la mia campagna elettorale insieme a loro, venerdì scorso) erano a un passo dalla soluzione del problema: un residence per anziani costruito (coi soldi della regione) e abbandonato, ci stanno da due anni. Ho di nuovo trovato bella gente in queste case, coi problemi delle collette, il cancello da rifare, il futuro da rimettere in piedi. A dita incrociate.

Eccolo, il jet-lag. Stavo imparando i loro problemi. I problemi dei consultori. I problemi della “pillola del giorno dopo” che i medici della mutua non segnano, i farmacisti non danno. Un popolo di pubblici obiettori con cui fare pubblici conti. Stavo imparando i problemi del cinema, quelli delle sale che chiudono, dei monopolii che imperano, dei precari che devono cercarsi altri lavori perché l'industria della settima arte è un'industria con la “disoccupazione a singhiozzo”, non si tira avanti.

Ho fatto la campagna elettorale tra autobus e metrò, la macchina non avrei saputo dove mollarla. Senza manifesti. Senza bugie. Forse non si fa così...

Chi è senza jet-lag scagli la prima pietra.

venerdì 26 marzo 2010

Una TV diversa è possibile

Il terzo polo c'è. In una notte l'Italia ha scoperto un'altra televisione: una tv collettiva di piazza; una tv “familiare”, sul solito schermo di Minzolini e Fede; soprattutto una tv condivisa, interattiva, che scardina le abitudini: la tv del web.

Michele Santoro, Marco Travaglio, Sandro Ruotolo, Vauro, insieme a Floris, a Gabbanelli, a Gad Lerner, insieme a Luttazzi e a Benigni e a Monicelli, insieme alle operaie dell'Omsa, alle ricercatrici dell'Ispra, insieme alla folla di Bologna, non solo hanno mandato in onda la più bella puntata di “Annozero”, ma hanno girato pagina alla storia della tv.

E stavolta, per quanto paradossale sia, ne sia dato merito anche a Berlusconi: perché è proprio per rompere la censura che sta attanagliando ogni fonte di informazione che si è messa in moto la catena di sant'antonio dei siti web, delle piccole tv, del tam-tam di immagini e parole che pervade la nostra vita. Un evento che non è soltanto un evento: lo diciamo sommessamente, ma nella morta gora dei media questa è una rivoluzione. Più di google. Più di youtube. Perché sfrutta l'ingegno tecnologico, l'invenzione dei new media, per dare vita per la prima volta a un'altra televisione. Che nasce libera. Libera come le prime tv locali alla fine degli anni Settanta. Come le tv di quartiere. Ma questa è tv che inonda l'etere: i dati d'ascolto di “annozero” sono strabilianti, il 13% d'ascolto registrato dall'Auditel sui media tradizionali (Sky al 6%, Current tv 2,44%, network locali al 6%. Ma anche Rainews24, rompendo l'embargo a Santoro, ha rimandato le immagini in differita della trasmissione). Soprattutto, però, la banda larga non è mai stata così stretta, perché era sul computer di casa che si seguiva, commentava, che si richiamavano gli amici a seguire la trasmissione. Anche Globalist ha rischiato di andare in panne, ha triplicato i contatti; così come è successo a Repubblica tv, con le sue 350mila connessioni. Ma erano centinaia i siti internet che rimandavano le immagini di Bologna, insieme alla pagina della diretta streaming http://live.raiperunanotte.it (che è arrivata a 125mila contatti unici): dal Corriere tv, al sito internet del Tg3, ai tanti, tantissimi siti e blog autoprodotti che rimandavano le immagini all'infinito. Non ha nessuna importanza sapere quanti eravamo davanti al computer ieri sera: nell'era di Berlusconi i numeri sono una variabile impazzita, come il milione di piazza San Giovanni a Roma. Fatto sta che stamattina sembra che l'abbiano visto tutti!

Una trasmissione che è già in replica, perché internet archivia senza neppure la fatica dell'”on demand”: le vignette di Vauro, l'intervento di Luttazzi, Monicelli, senza censure, autocensure, imbarazzi. Infinite repliche, infiniti clic.

Ora, ora che il terzo polo si è mostrato, nella rete del web e delle piccole tv, inizia un'avventura nuova. Il primo rischio è che la censura si abbatta come una scure anche qui. Basta poco. Basta abbandonare del tutte le politiche sulla banda larga, un problema che non va mai sulle prime pagine dei giornali, misconosciuto, vitale per la comunicazione nel nostro Paese, per il superamento del “digitale divide” che spacca in due anche l'Italia. Mentre Obama promette di connettere l'America (“100 mega in download e 50 in upload”), e fa di questo la sua grande scommessa sul futuro, noi siamo ancora a combattere con i 2MB e di internet ultraveloce si parla solo nei convegni. Peggio: gli 800 milioni di euro previsti per la banda larga sono congelati dal Cipe, anche se a richiederla è l'industria, che ne ha necessità vitale.

Ma ad averne necessità vitale è anche l'informazione, per sgusciar via dalla trappola mortale del duopolio Rai-Mediaset, che soffoca La7, che Sky non può scardinare. “Annozero”, si ricomincia di qui: mai titolo fu più premonitore.

Chissà, forse da domani riuscirò a scrivere il mio diario.


Volevo tenere un diario elettorale, è andata a finire che persino l'agendina che ho in borsa, quella dove segno la visita del dentista e le bollette in scadenza, è diventata un inestricabile campo di battaglia di appuntamenti saltati, cambiati, rivisti: altro che diario, altro che “campagna”, con mister B. (Bean?) che ogni giorno va all'assalto alla baionetta. Fino all'ultimo. Ieri sera era in programma una “festa” dei candidati della lista, con la musica: anche per conoscerci un po' meglio! L'ho passata sotto la Rai, donna-sandwich. Ma quale festa! Col premier che ha cacciato dalla Rai ogni voce “stonata”. Che colpo da maestro: via le trasmissioni dove qualcuno, anche per sbaglio, anche a “Porta a porta” poteva insinuare il dubbio. Le mani, saldamente, sull'informazione. Minzolini che fa crollare gli ascolti del Tg1, ma che continua a parlare alla pancia del paese, a quelli che guardano la tv “dove si accende”, perché le tecnologie non sono per tutti, e c'è chi da una vita alle 8 sente il tg1... I bar, gli autogrill, i ristoranti di paese...

Donna-sandwich, c'è sempre una prima volta... Sulla pancia portavo scritto un qualche anatema sull'occupazione della Rai da parte di mr. B (Bean?): anche ieri mattina, lui che può, lui che è premier, si è messo a menar fendenti contro tutto e tutti, urbe-et-orbi. Contro tutte. Le donne-politiche, dice, non si possono manco guardare allo specchio, dopo la Bindi, la Bresso. A parte il fatto che l'unico che rompe gli specchi quando ci si mette davanti è lui (ma come fa, la mattina, quando si lava i denti – se li laverà da solo? - a guardarsi in faccia?), la sua volgarità continua a contagiare i più deboli, democraticamente fragili, a farci vivere peggio il giorno.

Stavo con un mito, Sabatinelli, colui che si sdraiò davanti alla porta del tribunale: per farsi riconoscere sul suo “santino” elettorale si è fatto disegnare sdraiato. Ma come t'è venuto in mente di buttarti a terra? “Per controllare il faldone di Milione dal basso... Nella confusione sennò era troppo facile che lo facesse scivolare di mano in mano, per ritrovarlo su una scrivania. Dal basso, controllavo meglio”. A controllare noi che protestiamo, con scritti addosso i numeri della strabordante presenza televisiva di mr. B (Bean?), c'è un eccesso di polizia, mentre “là dentro” impuniti continuano a farlo strabordare. Al massimo finirà con una multa pagata coi soldi del canone. La giornata va a finire con il presidente Rai Garimberti che accetta di incontrare una delegazione “istituzionale”, solo onorevoli: quanto di più inutile possa accadere, visto che è Masi il direttore generale che tutto può. E tutto fa: a partire dalla cancellazione dell'informazione. Parentesi: visto che di Milioni ce ne son milioni, magicamente a un certo punto i cancelli della Rai – che fino ad allora avevano protetto gli uffici vuoti come un bunker inaccessibile – si aprono, scivolano sulle rotaie fino a spalancarsi. Gli addetti alla sicurezza impazziti. Un formicaio di agenti in borghese, in divisa, a far barriera... Qualcuno aveva schiacciato il pulsante sbagliato... Che pecioni!

Sì, vabbè, ma intanto c'è Santoro sul web... Dagli schermi dentro il palazzo di vetro si intravvede Rainews24: Santoro??!! Qualcuno anche qui ce la fa a forzare il silenzio.

Volevo raccontare, nel diario elettorale, la gente che ho incontrato ai volantinaggi. Largo Argentina, fermata dell'otto; Ferrovie Laziali; mercato di San Lorenzo. E' stata la parte più divertente della campagna elettorale (due gambe gonfie così!!!): tre mondi. A largo Argentina una signora tutta per bene prima ha rifiutato sdegnata il volantino poi, andandosene, a voce abbastanza alta perché sentissi, mi ha regalato un “Vaffanculo”. Sono rimasta di sale. Vota chi ti pare, ma come ti fa a venire in mente di insultare una persona che, comunque, ti sorride? Grazie mr. B. Quest' Italia non è la mia Italia. Ma ce n'è un'altra di Italia, anzi, ce ne sono tante, quelli che si fermano a parlare anche se votano altrove, chissà dove, quelli che non votano, non voteranno più, non hanno mai votato, ma hanno bisogno di raccontarlo, raccontarsi. Persino ascoltare. C'è anche chi si affretta a mettersi in prima fila: accaparrarsi una benevolenza (hai visto mai, questa può entrare in Regione...). Ma i problemi sono, comunque, veri: il lavoro che non c'è, la compagna che non può prendere la cittadinanza, lavora al nero, rischia di essere sbattuta al Cie (“Ma possibile che l'unica via sia sposarla?”). Sono gli stranieri, che votare non possono proprio, a mettersi subito a leggere, senza neanche aspettare di sedersi sul trenino verso la periferia: nei programmi elettorali c'è il loro futuro tra noi. Lo capisco. A San Lorenzo è una festa: li vogliono tutti, te li prendono dalle mani, li lasciano mettere nei bar, sembra di stare in un mondo normale. All'inizio mi vergogno un po': mi riconoscono in fotografia. Sì, sono io. “Ma se li dà da sola?” Mi sembra giusto metterci la faccia... Vecchi comunisti che non ne possono più. Ragazzini galanti che sostengono che la fotografia non mi rende giustizia (bugiardi!): ma non lo fanno per prendere in giro, si sta a parlare. Non sono i giovani della tv, questi sono quelli veri, che vanno all'università, che lavorano. Che votano o non votano, ma ci pensano, discutono. I vecchi parlano, i giovani chiedono. Oggi, chiusura di campagna. Sto andando al capolinea del Cotral, incontro con i lavoratori del trasporto. Stasera ancora un palazzo occupato, in via Volontè. Chissà, forse riesco a passare all'università a dare qualche volantino. Chissà, forse da domani riuscirò a scrivere il mio diario.

giovedì 25 marzo 2010

Sanità negata e medici al fronte


Entusiasmo (che altro?) quando - neppure troppo tempo fa - ho scoperto che per le bambine di oggi c'è un semplice vaccino contro l'HPV. Sequenza impronunciabile di consonanti, né va meglio col nome scientifico, Human papilloma virus; eppure è magnifica la sostanza della cosa: un vaccino per debellare i tumori al collo dell'utero... Ora la dottoressa mi spiega che c'è un problema: mancano le dosi di vaccino. Quest'anno tocca alle bimbe nate 11 e 12 anni fa, ma ci sono ancora quelle di 13 “in arretrato”... E' la Sanità senza soldi. Che rimanda la prevenzione.

Voglio capire qualcosa di più di questa Sanità del Lazio, fuori dalle carte, fuori dai numeri: sento i medici che ci son dentro fino al collo. Già ho parlato con il primario di medicina che si chiude a chiave nello studio per gonfiare le gomme alle carrozzelle del reparto, perché la burocrazia non contempla la gonfiatura, ma sgonfie... non camminano. Ma non sta bene un primario con la pompa della bici in corsia.

Ora sto seduta davanti a una “dottoressa al fronte”, anche senza esser mai uscita dai confini della città. La conosco da tanto. Si occupava degli extracomunitari. I problemi con i clandestini e il loro timore delle strutture pubbliche. Il rapporto medico-paziente tutto fiduciario. Le malattie che sembravano debellate. La ritrovo primario (primaria?): è tornata ai consultori, tra mamme e bambini.

Il marito brontola perché arreda l'ambulatorio come se fosse uno studio privato: ma ha ragione lei, come si fa a lasciare dei bimbi in sala d'attesa, con la paura della puntura (le prime vaccinazioni) senza un gioco, un quadro colorato alle pareti, qualche libro cartonato da sfogliare? Come si fa a fare le riunioni dei medici senza sedie? Fortuna che c'è Ikea. Perché altri fondi, non ci sono...

In sala d'attesa mi guardo intorno. Me la ricordo bene la prima vaccinazione a mio figlio, in un locale fatiscente, buio, dove non sapevo dove sedermi. Qui c'è luce e colore. I bimbi possono anche stare a terra!

Dal concepimento alla maturità. Ci sono le ragazze che vengono per la pillola del giorno dopo, perché sono tanti i medici “obiettori”, e anche i farmacisti. Non vogliono rogne. Ma il sabato, la domenica, quando i consultori sono chiusi? Diritti negati.

Ci sono i bambini del nido e i loro “disagi psicologici”, una volta venivano messi dietro la lavagna, adesso vengono seguiti, crescere è la cosa più difficile che c'è.

E' la medicina della prevenzione, i controlli, le visite a scuola, piccolini con gli occhiali o mandati a far ginnastica, le lezioni sul cibo e sul sesso. Ogni settore ha la sua “eccellenza”, qui la pagella ha voti alti. E' la sanità sul territorio, quella che va dentro le scuole, che viene a casa, che cura l'emergenza, che opera, che assiste. La Sanità senza soldi. In una Regione dove il “buco” della Sanità condiziona le elezioni. E soldi a fiumi nella burocrazia.

Non c'è la “mappa” regionale dei presidi sanitari: malati che devono spostarsi da un capo all'altro della città (o da una città all'altra) per analisi, esami, cure appropriate. Quello che c'è sono gli ospedali che chiudono. Le cure che costano troppo care. Il precariato degli “appalti” della salute. I sistemi di potere. Vallo a dire alle bimbe che aspettano di fare la loro vaccinazione “da grandi”, come hanno spiegato a scuola. Vallo a dire ai vecchi quando il ticket sballa il bilancio di fine mese.

domenica 21 marzo 2010

Acqua, oggi, vuol dire democrazia


Acqua. Acqua! Acqua pubblica... “Acqua libera”. La soddisfazione di lasciare il corteo per chiedere in un bar un bicchiere d'acqua minerale, stracolma di bollicine: carissima. E altri due di “acqua del sindaco” che a Roma, vivaddio, è pure buona: gratis.

Non sono le bandiere, stavolta, a dare colore alla manifestazione: non il rosso, non il viola. Il fiume di gente che scende per le strade di Roma sceglie l'azzurro. Si riappropria, finalmente, dell'azzurro.

In attesa di poter esortare, e gridare di nuovo, senza fraintendimenti, anche “forza, Italia”.

Telecamere a caccia di politici eccellenti, perché la cronaca (come è d'uso e abuso) si fa sulle loro dichiarazioni: ma non qui, questa è una manifestazione che dilaga come l'acqua, mille sigle a organizzarla, onde di gente – di giovani! - che quello che hanno da dire lo dipingono sul volto. “Acqua bene comune”. Gocce d'acqua azzurra sul viso. Goccioline di bimbi che giocano nel corteo, perché questa manifestazione è tutta per loro: per la loro acqua, per la loro aria, per la loro terra, domani.

I gonfaloni dei comuni: tanti. Anghiari, Lanuvio, Grotte, Napoli, Gubbio, Modica, Vittoria, Bassiano, Castel Madama... ce ne sono ancora, affastellati quasi, in prima fila... E' la Sicilia degli scandali dell'acqua. Sono i paesi su cui incombe una privatizzazione che non dà acqua buona ma la dà cara. Sono i sindaci che non ci stanno, con le fasce tricolori.

Berlusconi due piazze più in là sostiene che ci sono un milione di persone ad ascoltarlo, tradito dalla sue stesse telecamere (per la questura: 150mila). E allora, quanti siamo in questo fiume allegro di colori, di suoni? Settemila dice la questura: ma dai!!! Un'ora e dieci di corteo, e quando i gonfaloni entrano in piazza Navona ancora si sfila in via Cavour...

“Acqua, oggi, vuol dire democrazia”.

venerdì 19 marzo 2010

Il corteo del premier, il corteo dell'acqua... (e il rischio-provocazioni)

DI SILVIA GARAMBOIS
(DA WWW.DAZEBAO.ORG)

ROMA - L'Arco di Costantino, costruito per celebrare i fasti della battaglia di Ponte Milvio in cui venne sconfitto Massenzio, sabato sarà la porta che separa due Italie: da un lato il corteo del premier che non vuole perdere potere, dall'altra il corteo dei cittadini che non vogliono perdere anche l'acqua. I primi che risalgono dal Circo Massimo verso piazza San Giovanni, i secondi giù per i Fori Imperiali verso piazza Navona.

Due serpentoni di gente ad attraversare la città, a un palmo l'uno dall'altro. E il premier che continua a ripetere che è “l'amore contro l'odio”... (ma Alemanno non aveva detto: mai più due manifestazioni lo stesso giorno?).

Fin qui, questa del corteo di Berlusconi è stata una telenovela: la manifestazione che ha fortissimamente voluto per rattoppare l'immagine del “partito del fare” dopo le pecionate di mr. Milione, è stata sballottata nel calendario in modo imbarazzante. Un boomerang: il sabato, il sabato no è già occupato (il “protocollo” di Alemanno parla chiaro: evitare “la concomitanza di manifestazioni”); la domenica, la domenica no c'è la maratona...

Poi è diventato un ennesimo atto di arroganza: Berlusconi non manifesta di lunedì. E tra i maratoneti della domenica e il popolo dell'acqua (che per altro da lungo tempo avevano prenotato piazze e strade), ha scelto il confronto con i secondi. Con quelli che vogliono “l'acqua del sindaco”, come dicono a Roma, e non quella delle multinazionali. E Alemanno non ha battuto ciglio.

Un risultato Berlusconi lo ha già portato a casa: il suo comizio con i 13 candidati Presidenti schierati “oscurerà” completamente i suoi competitor, almeno nei tg.

Adesso, tempo di vigilia, si studiano i percorsi... Tra un corteo e l'altro un tiro di schioppo. Il Prefetto ha “concesso” al corteo dell'acqua di passare dai Fori Imperiali, nonostante i lavori in corso per la maratona del giorno dopo, anziché fare il giro lungo a lambire piazza San Giovanni... Per evitare almeno che le due manifestazioni entrino in contatto, i cortei si intreccino, i manifestanti si confondano.

E tutto ciò a otto giorni dalle elezioni, nel clima surriscaldato della campagna elettorale, del pasticcio del Pdl nella presentazione delle liste, dei bavagli all'informazione, delle intercettazioni, degli scandali.

Su facebook è già partito il tam-tam del “popolo dell'acqua”: attenti alle provocazioni.

mercoledì 17 marzo 2010

“A sgombrarmi sono arrivati i miei colleghi"

I nuovi invisibili lavorano accanto a noi. La signora che salutiamo con un cenno in ufficio, con cui scambiamo due parole appena a scuola. Questa campagna elettorale sta diventando un viaggio in una città dimenticata: ultima tappa, le case occupate di via Erminio Spalla. Spalla era un campione di pugilato di bell'aspetto e fotogenico, finì al cinema, più di cinquanta film. In “Miracolo a Milano” di Zavattini-De Sica era un barbone di periferia. Adesso nella “sua” strada, in un palazzo tutto di vetro dove si soffoca d'estate e si trema d'inverno, abitano cento famiglie che non sanno dove altro andare. Quattrocento persone. Diversi bambini sono nati qui: Federico che ha venti mesi, bello da cartolina, è il primo ad aver visto il mondo qui dentro. Il capostipite. Come gli altri, è avvolto in una copertina.

Scherzano le donne mostrando il pancione: “E' che fa freddo qui dentro, è buio”.

E' buio, perché la luce non c'è . L'Acea vuole un'autorizzazione, la proprietà non ci pensa proprio, la protezione civile comunale parla di “allaccio umanitario”, ma manca sempre qualche firma e si va avanti così. Non ci sono stufette elettriche. Non ci sono condizionatori. Un generatore che puzza di nafta e dà noia ai vicini per il rumore permette di avere qualche ora di corrente elettrica: mai prima delle 14, mai di notte. Per la lavatrice si fanno i turni, sennò salta tutto. Anche per il frigorifero: un bel problema per il latte dei bimbi, per le medicine degli anziani. Dove siamo? Roma, quartiere Garbatella.

Storie tutte diverse e tutte uguali. Non ce l'hanno più fatta con l'affitto. Sfrattati senza un posto dove andare. Giovani coppie. Anziane signore. Famiglie di immigrati. Aspettano una casa dal Comune, che non arriva. Non è che qui la vita sia a costo zero: solo per la nafta del generatore spendono tra 3.500 e 5mila euro al mese, ognuno mette una quota. E poi hanno dovuto spendere soldi e lavoro per recuperare un po' di dignità sotto questo tetto.

Il palazzo dove stanno è di un “furbetto del quartierino”, il gruppo Statuto. Era sotto sequestro da dieci anni quando sono entrati, nel maggio del 2008. Dentro, neppure i tramezzi. Gli ultimi piani sfondati, trasformati in paludi, con le rane. Nei piani bassi i topi. Raccontano che hanno derattizzato. Aggiustato. Tirato su tramezzi. Diviso in metri quadri, proporzionali ai nuclei familiari: 30 metri ai single, di più via via che la famiglia cresce. All'inizio nel quartiere hanno anche protestato, denunciato l'occupazione.

Aspettano una casa con un affitto buono per le loro tasche, c'è chi ha già raggiunto i fatidici “dieci punti” ma è ancora qui, un pellegrinaggio continuo a controllare le graduatorie... e intanto hanno bisogno della luce. Non si fa nulla senza la corrente: niente phon per asciugarsi i capelli. Niente acqua calda per lavarsi. Niente aerosol per l'asma... Me lo racconta una signora offrendomi una fetta di dolce, scherziamo un po' sulle calorie, i bambini si avventano sui biscotti.

Gli uomini si sono arrampicati sul ponteggio della ristrutturazione della chiesa di piazza Madonna di Loreto, un paio di mesi fa, quando il freddo era più freddo, perché finalmente qualcuno li chiamasse a un “tavolo”: comune, protezione civile, Acea, prefettura. Ma siamo sempre lì: assicurazioni, interventi umanitari, ma non si è visto niente.

Loro, chi sono? Quelli che incontro – una quarantina - sono gente di tutti i giorni, invisibili col loro dramma: “A sgombrarmi sono arrivati i miei colleghi. Io lavoro proprio in quegli uffici; quando mi hanno vista hanno detto: tu?... Io....”.

martedì 16 marzo 2010

Ballarò ricomincia, ma dalla strada

Il 17 marzo c'è “Ballaro”: Giovanni Floris ospita un “faccia a faccia” tra i candidati presidenti Mercedes Bresso e Roberto Cota. E poi ancora il 21, e il 22, e il 24... Un golpe, la presa del potere televisivo? Per carità: il Consiglio d'amministrazione Rai ha suonato fino all'ultima nota il suo “de profundis” sulle trasmissioni giornalistiche. No e poi no: checché ne pensi il Tar, l'Agcom e persino Napolitano... Tv vietata, “Ballarò” va per strada. Ma non molla.E' un “Giro d'Italia” nelle sale messe a disposizione ora dalle associazioni dei giornalisti (a Torino), ora in un auditorium (all'Aquila, dove il 21 ci sarà una “festa spettacolo” dedicata ai temi della ricostruzione), all'università (a RomaTre il 22 confronto tra Eugenio Scalfari e Pierluigi Battista su “Rapporto tra comunicazione, istituzioni e giornalismo”), in un liceo (è il Fermi di Cosenza, dove il 24  due “squadre” di studenti dibattono sui temi del futuro del Mezzogiorno).“Ballarò” è il nome del mercato di Palermo, e “Ballarò” torna da dove tutto è cominciato, lo scambio di opinioni in città, nei luoghi di aggregazione. Lontano dalla tv.Anche Michele Santoro scende in strada con la sua trasmissione. Il 25 marzo “Annozero” è a Bologna, al PalaDozza. Una  manifestazione per la libertà di espressione con un titolo che è già un programma: “Rai per una notte”.
 

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sabato 13 marzo 2010

Confermato: chiude anche NeaPolis

“In attesa di cortese smentita”, come diceva Antonello Piroso nella sua trasmissione di La7 (che, per inciso, non sta andando in onda): è vero davvero che c'è un'altra trasmissione “di servizio” della Rai in chiusura? Stiamo parlando di NeaPolis, rubrica della TgR, in onda dal lunedì al venerdì alle 15 su Raitre, che dà notizie del “nuovo mondo”, quello di internet, accompagnando lo spettatore televisivo dentro “l'altra metà del video”.

Una trasmissione così non elimina certo il “digitale divide”, ovvero la forbice che si allarga sempre più tra chi si affaccia alla finestra aperta sul mondo del web e chi, invece, non ne ha occasione e possibilità. Si tratta di un problema mondiale, che crea un nuovo scarto culturale tra mondo ricco e mondo povero, e che anche nei nostri confini nazionali segna sempre più le differenze tra chi ha strumenti culturali e di comunicazione e chi no.

NeaPolis ha però l'ambizione di far conoscere che esiste un mondo web, dai confini sempre più aperti, anche a chi non ha familiarità con internet: racconta le censure in Cina e la digitalizzazione del nostro patrimonio di libri; le novità tecnologiche e i siti più interessanti; istruzioni per l'uso e musica; video e videogiochi. Insomma, tra informazione e curiosità, una vera alfabetizzazione al computer, con lo stesso spirito del maestro Alberto Manzi ai tempi di “Non è mai troppo tardi”.

Perché mai alla Rai viene in mente di chiudere una trasmissione così? Non vorremmo dover pensare troppo male...

venerdì 12 marzo 2010

L'Anpi per le elezioni nel Lazio


NOTA DEL PRESIDENTE MASSIMO RENDINA


Le elezioni regionali stanno assumendo un carattere che trascende l'ambito amministrativo volendo la compagine governativa dare loro significato politico.
L' ANPI non si sottrae a tale sfida pur ritenendola impropria e provocatoria.
Confida perciò nei candidati al Consiglio Regionale Del Lazio presentati dai partiti di opposizione, candidati che per esperienza e capacità corrispondono alle esigenze peculiari dell'istituzione regionale, ma che sono anche figure rappresentative della cultura democratica che il centro destra sta sovvertendo con l' intento di istaurare in Italia un regime autoritario parafascista. L'ANPI, per mandato storico resistenziale impegnata nella difesa e promozione dei valori costituzionali, presidio delle articolazioni democratiche, segnala pertanto agli iscritti e a quanti ne condividono gli ideali i candidati a consiglieri regionali che appartengono alla nostra associazione, nella convinzione che possano meglio assolvere ai compiti cui saranno delegati garantendo le libertà fondamentali espresse dalla Guerra di Liberazione. Pur nel rispetto delle scelte elettorali, come è nostro costume, segnaliamo per l'elezione al Consiglio del Lazio FABIO NOBILE membro del nostro coordinamento delle forze democratiche e SILVIA GARAMBOIS, figlia di un partigiano, giornalista professionista, già segretaria dell'Associazione della Stampa Romana.

giovedì 11 marzo 2010

Diario elettorale: oggi iniziativa pubblica sulla Costituzione.

Si riparte da qui: un libricino piccolo così, scritto facile facile.

Bisognerebbe farle un po' di pubblicità : “Sta comodo in borsa, persino in tasca. Si può portare in tram e in metrò. Si legge a capitoletti, tanti quanti sono le fermate del bus, senza perdere il segno, senza lasciarsi scappare le emozioni...”.

Secondo me dalle parti di Largo Chigi (e non solo) pensano che sia uno di quei tomi rilegati che serve il facchino in livrea per portarlo. E per leggerlo, almeno due lauree. Macché: nessun codicillo. Un buon italiano, domestico addirittura. Il linguaggio di casa. “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Persino le virgole sono al posto giusto.

Se devo proprio scegliere, a me piacciono soprattutto l'articolo 21 e il 36.
Il 21 racconta che la gente è libera di pensare (che già è una bella cosa, ora che è finito il Grande Fratello), di divulgare le proprie idee, di scrivere. I giornali sono liberi: non di dire fanfaronate, di spararle grosse, ma di diffondere notizie e pensieri. “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

L'articolo 36 invece mi fa sempre venire una rabbia che mi chiude lo stomaco: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Il lavoro che dà libertà e dignità: anche economica! Tutte le volte penso ai precari. Agli atipici. Ai collaboratori a partita IVA. Ai ricattati sul lavoro in tutti i modi e i cavilli. Anzi: pensavo. Adesso è arrivato il “disegno di legge 14441 quater B” trasformato in legge con la velocità di un fulmine: le conciliazioni. E' la legge che manda in soffitta l'art.18 dello Statuto dei lavoratori, quello sui licenziamenti. Non c'è più un giudice a decidere se è giusto o no cacciare un lavoratore dalla fabbrica, dall'azienda: adesso basta un atto amministrativo. Una “firmetta”. E siamo tutti precari.

Vorrei però ripassare quell'articolo 117 in cui si parla della potestà legislativa dello Stato e di quella delle Regioni. Non mi sto portando avanti col lavoro: è che nell'elenco di quel che spetta allo Stato legiferare (leggi elettorali relative a organi dello Stato; referendum statali; elezioni del Parlamento europeo) la legge elettorale regionale proprio non c'è... Ma che si sono sognati quella notte?

Ora me la metto in borsa, la Costituzione: io viaggio parecchio in autobus.

mercoledì 10 marzo 2010

Anche il carcere non è uguale per tutti

Un uomo di 30 anni si è suicidato nel carcere di Padova. Non sappiamo quale fosse stato il suo delitto, conosciamo la sua pena: le cronache sui giornali hanno raccontato che era detenuto da molti anni, che era debilitato da uno sciopero della fame, che si è impiccato alle sbarre. E che si tratta del tredicesimo suicidio dall'inizio dell'anno in quella struttura carceraria.

L'anno che abbiamo alle spalle, il 2009, nelle carceri italiane ci sono stati oltre 170 morti di cui 70 suicidi. Numeri impressionanti. Purtroppo, addirittura numeri da record.

Quando il portone del carcere si chiude non è solo il detenuto ad essere isolato dal mondo: è il nostro mondo a non interessarsi più a lui. Si legge che le carceri sono sovraffollate, che a San Vittore, che ha una capienza per 712 persone, ci sono oltre mille e cento detenuti; e si gira pagina. Che le strutture penitenziarie sono vecchie fatiscenti, come a Cagliari dove non è prevista attività sportiva perché non c'è spazio; e si gira pagina. Che i detenuti soffrono trattamenti inumani e degradanti, sono vittime di stupri, vengono picchiati, si feriscono da soli per sfuggire almeno un po' all'annullamento della vita in cella: ma ci sono troppi problemi di qua da quel portone per occuparci anche di questo...
Si scopre che la vita del carcere è un inferno anche per i secondini, se i dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria rivelano che in dieci anni, dal '97 al 2007, anche 64 guardie carcerarie si sono tolte la vita, hanno ceduto allo stress.

Sarà perché però tutte queste cose le sappiamo, anche se quel portone divide due mondi, sarà perché sappiamo che così non può essere in un paese civile, che altre notizie fanno sobbalzare tanto sono incongrue: come quella che riguarda uno degli ultimi arrestati eccellenti, Silvio Scaglia, il manager di Fastweb accusato di una colossale truffa allo Stato. Ha una cella da solo, accoglie i visitatori sorridendo: dice che a Rebibbia è come stare alle terme, solo un po' più spartane, e che ora può permettersi persino di studiare la grammatica cinese. Buon per lui. Certo è che anche dietro quel portone i ricchi continuano ad essere i ricchi, e i poveracci solo poveracci.

lunedì 8 marzo 2010

8 marzo: pensieri di una donna candidata

Oggi, 8 marzo, festa della donna. Nella notte degli Oscar ha vinto Kathryn Bigelow, contro ogni pronostico, contro la logica di Hollywood (contro il marito): sconfitte le majors di Avatar, premiato il suo film “difficile”, Hurt Locker, 40 giorni sul fronte dell'Iraq. Buona notizia.

A Roma siamo in piazza. Ha rischiato di essere la campagna elettorale più lunga della storia (indiscrezioni, giovedì scorso, persino sulla voglia di far scivolare le elezioni all'11 maggio, ricominciando tutto daccapo); sta diventando la più breve. Altro che mercati e volantini: piazza e bandiere!

Aveva preso il verso giusto la “mia” campagna elettorale, come volevo io: da giornalista. Ascoltare, ascoltare, ascoltare. Avrò anche mangiato pane e politica tutta la vita, ma sono sempre stata dall'altra parte del muro: i giornalisti devono essere i cani da guardia del potere. Anche se ero all'Unità, anche se lavoravo fianco a fianco ai politici (prosaicamente: una scassapalle).

Sono partita “facile”, dalle cose che conosco: full immersion nel mondo del cinema. Nel Lazio è un'industria preminente, duecentomila addetti, nessuna tutela, quando finisce una produzione tutti a casa. Telecineoperatori, segretarie di produzione, attori. Con la crisi conosco troppi, bravi, che non ce la fanno. Per questo nel programma alla voce cultura ho appuntato “ammortizzatori sociali”, come li hanno in Francia.
Il 4 marzo sono andata con Emma Bonino all'incontro con Anica, i produttori, il giorno dopo a quello con i “cento autori”, che la fiction – cine e tv - la scrivono: la giunta Marrazzo si è mossa bene su questo settore, ma c'è sempre molto, moltissimo da fare. Serve mettere davvero “in rete” dall'ideazione alla proiezione dei film nei cinema di paese (quelli che non ci sono più). E' un'industria, e le majors vogliono il monopolio anche nelle sale; è sempre la legge del più forte: bisogna conoscere con chi si deve fare i conti. Ho preso molti, molti appunti. Ho salutato molti amici: contenta di ritrovarli.

Oggi è l'8 marzo. Nel mio programma ho scritto: politiche a favore del lavoro e delle carriere. Sono già stata a qualche incontro. Convegni. Donne in gamba. Di uomini, quelli che il potere lo devono mollare, manco l'ombra.

giovedì 4 marzo 2010

Rai: vogliono chiudere "Per un pugno di libri"


La notizia trapela con il tam-tam (poco cambia se oggi si chiama Facebook): dopo 13 anni chiude “Per un pugno di libri”, gioco televisivo condotto da Neri Marcoré che mette in gara due squadre di liceali la domenica pomeriggio su Raitre. Una trasmissione in cui al posto della valletta c'è Piero Dorfles, arguto critico letterario, e dove si vincono libri.
Niente lustrini: giusto qualche vecchio pulsante alla Mike Bongiorno, per vedere chi risponde prima. Insomma: una ricetta semplice semplice, casalinga. Ma dato che i bravi chef fan miracoli anche con due uova, “Per un pugno di libri” si erge sulla programmazione televisiva del concitamento domenicale (e oltre), stuzzica
nel telespettatore la voglia di leggere un libro (perché lo fa divertendo), lo fa partecipe di intriganti domande letterarie (e si scopre che i giovani concorrenti sanno persino le risposte), riconcilia con la tv, con i critici letterari e persino con una generazione che – sugli altri canali – sembra succube solo del “modello velina”.
Insomma, fin qui si poteva pensare che alla Rai si fossero dimenticati dell'esistenza di questa trasmissione, permettendo a Marcoré di lasciare le sue travolgenti imitazioni per trasformarsi in compassato conduttore. E ai telespettatori di avere uno spazietto in cui rifugiarsi per sfuggire alla sarabanda generale.


Ora se ne sono ricordati... E dunque: via, si sbaracca.

Pezzo a pezzo, la Rai smantella quel poco di programmazione che ne faceva ancora “servizio pubblico”. Prima la notizia che dal prossimo autunno sparirà la tv dei bambini, addio Fantabosco, Melevisione, Trebisonda, Tg dei ragazzi, per i quali la Rai assicura che troverà spazio sul digitale terrestre, come se fosse un ripostiglio. Adesso “Per un pugno di libri”. Pezzo a pezzo ad essere smantellata è la Rai.

martedì 2 marzo 2010

Italia, nuova frontiera di Emergency

Da un anno Emergency ha aperto un presidio medico a Palermo, dove ha già curato gratuitamente centinaia di persone, senza chiedere documenti, nazionalità, dialetto; ma Gino Strada e i suoi volontari – infermieri e medici - sono già pronti ad aprire poliambulatori in altre sedici città italiane. Una notizia che fa riflettere, amaramente. L'emergenza è tra noi.

Emergency, fino a ieri, significava Sudan. Significava Afghanistan. Per “offrire assistenza medico-chirurgica gratuita e di elevata qualità alle vittime civili delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà”. E infatti dal ‘94 ad oggi è intervenuta in quindici Paesi sparsi nel mondo povero e in guerra, è diventata partner delle Nazioni Uniti per il suo lavoro di pace. E ora, in Italia? Questa dunque, è diventata l'ultima frontiera... L'idea guida di una “medicina basata sui diritti umani” ha riportato i medici volontari di Gino Strada prima nella Sicilia degli sbarchi, ora a cercare di aprire i propri presidi nelle Rosarno d'Italia.

Le iniziative per la giornata dei migranti (“Una giornata senza di noi”: quale manifesto migliore per rivelare il valore della convivenza, dell'integrazione?) stanno alzando pesanti veli su cosa è diventata la nostra Italia, dove i migranti non hanno accesso neppure ai servizi della medicina di base perché “clandestini”, o comunque emarginati, tenuti lontani. Una emergenza umana prima che sanitaria. Un Paese che non si riconosce più...

Non eravamo quelli del “volemose bene”? Non eravamo quelli con un posto a tavola in più? Quando è successo che abbiamo smesso di dare il buongiorno alla barista, che abbiamo dato una spallata a chi ci ostacolava sul marciapiede, che abbiamo buttato a terra una cartaccia dove era appena passato lo scopino?
Quando è successo che abbiamo incominciato a pensare e poi dire ad alta voce, e poi a sbraitare che i poveri puzzano, che gli stranieri non si lavano, che forse è maleodorante anche chi non la pensa come noi?

I nostri nonni erano migranti. Poveri. Solidali. Forse, adesso, proviamo anche vergogna di loro?

(da www.radioarticolo1.it)

L'informazione pre-elettorale con il bavaglio

Via Michele Santoro. Via Giovanni Floris. Via persino Bruno Vespa: lo ha deciso il Consiglio d'amministrazione. E La7 risponde zittendo Gad Lerner. Perché? Le elezioni. E perché mai sotto elezioni la gente non deve sapere? Perché “L'Infedele” non può raccontare lo scandalo della truffa telefonica (che coinvolge Telecom, editore di la7)? Perchè “Porta a porta” non può aprire il suo salotto? Perché “Annozero” e “Ballarò” non possono alzare il velo sui problemi della crisi, della società, del lavoro? Quando spira aria elettorale, si tace. L'Italia va in bolla. Per editto, non succede più nulla: niente crisi, niente problemi sociali, niente problemi sanitari. Figuriamoci poi i problemi politici! I telespettatori vorrebbe sapere cosa è successo al tribunale di Roma, dove il Pdl non ha depositato la lista? E cosa è successo a Formigoni a Milano? E alla lista radicale nelle Marche? Attenersi al comunicato ufficiale, nei tg. Forse.Nel nome della par condicio i tg si fanno striminziti, insopportabili. E “per fortuna” che c'è qualche fattaccio: un terremoto devastante, la tempesta perfetta, anche soltanto un po' di cronaca nera... Sai che noia la sfilata di faccioni al tg, con il giornalista che anziché gli appunti osserva il cronometro?Il Consiglio d'amministrazione della Rai ha decretato lo stop ai talk-show. Nessuna legge glielo imponeva. Nessun telespettatore ne sentiva la necessità. E tanto meno gli spettatori-elettori. Qualcuno dovrebbe ricordare ai signori della tv che gli spettatori non sono soltanto portafogli per gli spot, ma cittadini. E che l'informazione è una ricchezza, non un peso.Perché poi per i politici (non per la politica) l'informazione sia un fastidio, sta ai cittadini giudicare...

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MI CANDIDO PERCHE' I PROBLEMI DELLE DONNE NON SIANO SOLO SLOGAN ELETTORALI

(www.dazebao.org)

Intervista di Alessandro Cardulli

La crisi colpisce tutte le famiglie, ma le donne di più! E se questo vale in tutta Europa, nel nostro Paese, dove le politiche di supporto al lavoro femminile sono praticamente inesistenti, la si...tuazione rischia di andare fuori controllo. Oltre a dati di disoccupazione record (quasi il 54% delle donne non ha un lavoro remunerato), le italiane hanno stipendi più bassi degli uomini e carriere bloccate: solo i dati del Lazio sono da capogiro: tra le oltre 80mila lavoratrici in aziende medio-grandi è risultato che solo l'1,7% ha ruoli dirigenti! Sono dati che indicano una condizione ancor oggi intollerabile”.

Silvia Garambois, giornalista dell’Unità per 25 anni, dove è stata caporedattore, oggi collaboratrice tra l'altro di Dazebao, ha avuto ruoli dirigenti nella Federazione nazionale della Stampa e, per due mandati, è stata Segretaria della Associazione Stampa Romana, il sindacato dei giornalisti del Lazio. Attualmente fa parte della Commissione pari opportunità della Fnsi. Si è impegnata a fondo sui problemi della discriminazione delle donne, che esistono anche nel giornalismo. Ha deciso di candidarsi per la lista della Federazione della sinistra alle elezioni regionali del Lazio. Da qui partiamo nella nostra intervista.

Cosa ti ha spinto ad entrare direttamente in politica?

"Occuparsi dei problemi delle donne non può più essere solo uno slogan elettorale: si parte da qui per ridare anche dignità economica alle famiglie. Come pretende la Costituzione. Per questo voglio dare concretamente il mio contributo, se vengo eletta, in una istituzione che può svolgere un ruolo significativo. Ai dati cui hai fatto riferimento, infatti, se ne posso aggiungere altri che danno il quadro della situazione nella regione. A partire dalle differenze di stipendio, che sono molto consistenti: un'operaia di Viterbo ha la busta paga “tagliata” in media del 65% rispetto ai colleghi maschi, mentre a Roma un'impiegata percepisce il 23% in meno e un'operaia il 31,3% in meno. E questi sono dati ufficiali, ricavati dalle denunce delle aziende all'Agenzia regionale del lavoro. Le motivazioni sono sempre le stesse: carriere bloccate, oltre che da pregiudizio, dalle maternità e il fatto che il part-time è soprattutto “cosa da donne”: basti pensare che nel pubblico impiego il part-time femminile tocca la vetta dell'85%".

Concretamente una Regione cosa può fare, visto che già deve rimediare ai vuoti della politica del governo e che si trova in difficoltà finanziare molto pesanti, come nel Lazio, dove Storace ha lasciato dieci miliardi di debiti per la sanità?

"Parto dall'idea che non ci sono solo le Grandi Opere per rimettere in moto il Paese: l'intervento sul welfare non è necessariamente assistenziale, può al contrario essere volano di nuova e buona occupazione. Per molte donne la rinuncia a un lavoro pieno (e quindi anche a una carriera) è una necessità per conciliare il lavoro e le cure da dedicare alla famiglia, ai figli, spesso anche agli anziani. Ed è qui che deve intervenire il “pubblico”, come si fa in Francia, come si fa in mezza Europa, come non si fa in Italia: servono leggi nazionali ma serve anche una normativa regionale, di supporto al lavoro e alle carriere delle donne. Che poi significa asili nido, servizi agli anziani, una rete di supporto alla famiglia. Nuovo lavoro. In Toscana, per esempio, qualcosa si muove..."

Una volta si diceva che la donna è l’angelo della famiglia. Ora ci sembra più proprio dire che è la schiava della famiglia. E’ lei che deve rinunciare spesso al poco lavoro che c’è, ai sogni, ai progetti personali. C’è un ruolo del pubblico, delle istituzioni che devono intervenire: ma non ritieni che ci sia anche un problema culturale perché questa battaglia veda insieme uomini e donne?

"Che il lavoro familiare sia scaricato soprattutto sulle donne è, da noi, anche un problema culturale, non c’è dubbio: per fortuna nelle nuove generazioni c'è maggiore condivisione negli impegni di casa. Ma non c'è da meravigliarsi se in Italia si rinuncia a “metter su famiglia” e la natalità è bassa. Oltre al precariato, che frena tante coppie, sulla vita delle famiglie di lavoratori si scaricano infatti problemi enormi: c'è in partenza il sacrificio del lavoro, in parte o del tutto (una donna su quattro lo lascia quando nasce un figlio!) e restano poi le difficoltà di affrontare senza altro aiuto che quello dei nonni, quando ci sono, la crescita dei bambini. Va a finire che nel nostro Paese, dove la famiglia viene messa al centro di tutte le campagne elettorali, in realtà le coppie vengono abbandonate a se stesse. Il risultato? In Francia, dove le donne al lavoro sono molte, molte più che in Italia (oltre il 10% in più), ma per la famiglia c'è una normativa seria di supporto, ogni coppia ha in media 2 figli. Noi ormai siamo a... 1,33! "