domenica 28 febbraio 2010

La mia brochure elettorale

Probabilmente non ve ne importerà nulla, ma questo è il mio volantino elettorale.



I fili che ci uniscono

E non dite che non c'eravamo! Piazza del Popolo si è di nuovo riempita. Cinquantamila? Ormai è meglio documentare tutto: e allora tutti armati di foto-telefonino e clic, clic, clic. Viola e non solo viola. Prima che dicano che in piazza non hanno trovato nessuno.

Come al Tribunale di Roma,e fortuna che c'era il cine-telefonino in funzione a documentare che alle 12,45 il rappresentante del Pdl era ancora “fuori” e non aveva consegnato le liste per le elezioni:
perché la Verità ufficiale è già un'altra. E strepitano tutti.

E mi torna in mente la veritààààà di Zavattini.

Un altro pianeta.

Mi sono affacciata su Facebook in questi giorni: sembra di stare in centro all'ora di punta. Tutti che suonano il clacson. Sui blog c'è un'altra aria: mi ricorda quando si stava tra amici seduti dove si trovava e stravaccati su un tappeto, a parlare di niente e dei destini del mondo.

Però in piazza c'erano tutti quelli del passa-parola, l'ho chiesto, mi hanno risposto: chi proveniva dal clangore di “fb”, chi dai “salotti” dei blog. La rete ha un mucchio di fili. Che si uniscono. Speriamo.

venerdì 26 febbraio 2010

Di Porto, il "nip" diventato personaggio su Flop tv

Fuori i bicipiti! Il ritorno dell'”Isola dei famosi”, giusto all'indomani delle polemiche sanremesi, non è propriamente il massimo per una tv (pubblica) che dovrebbe essere “di servizio” e invece nuota nel trash. Ma stavolta ci naufraga così tanto nel trash che viene quasi il dubbio non si siano accorti di aver rubato un vero personaggio al mondo del web: è Davide Di Porto, creatura forgiata da “Flop tv”, il canale internet di Fox Channels Italia che ha nel cast anche Elio di Elio e le storie tese e Maccio Capatonda (Marcello Macchia). Di Porto alla Rai è considerato un “nip” (non important person) tra i presunti “vip” ripescati dal dimenticatoio: sfilano infatti tristemente su Raidue Clarissa Burt, Aldo Busi, il rugbista Denis Dallan, Claudia Galanti (ex di Stefano Ricucci...), Loredana Lecciso, Federico Mastrostefano (ex “tronista” di Amici), Sandra Milo, Simone Rugiati (il cuoco della “Prova del cuoco”), Nina Senicar (un'altra starletta dei calendari), Luca Ward. E poi c'è lui. In tv non lo ha mai visto nessuno, è vero, ma al suo apparire, muscoli e tatuaggi, persino lo scafatissimo “opinionista” Adriano Aragozzini, con alle spalle una vita ad organizzare eventi e a gestire super-star, da Modugno a Arbore, non regge la sorpresa e se la ride...Ma Davide Di Porto è tutt'altro che uno sconosciuto: sul web ha una schiera di fans che si guardano e si riguardano le sue lezioni di “In forma con...” su www.floptv.tv. Con i muscoli in espansione, quelle del “personal trainer” romano sono in realtà lezioni d'abbordaggio: “Se incontri una pischella... gonfi un po' il bicipite... c'annamo a pijà un caffeino: e intanto fai le mossette...”. Non è uno che si può montare la testa, perché già si crede bello come un Apollo e gli basta uno sguardo di donna perché sia certo di poterla archiviare come una conquista. Quello che gli può succedere all'”Isola” è di perdere la strampalata ingenuità, parodia vivente del “palestrato”, che ne ha fatto un “eroe” del web. E tornare ad essere soltanto un bullo tra tanti. Perché questa tv, ahinoi, tutto inghiotte e riduce in insapore poltiglia.

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martedì 23 febbraio 2010

LA RAI HA PERSO LA TREBISONDA

"Zitti zitti, quatti quatti", alla Rai hanno deciso di far fuori un altro pezzo di "servizio pubblico": la tv dei bambini. Non rende abbastanza. Non ha "i numeri", quelli dell'Auditel. Dopo l'estate, semplicemente, "svanirà" da Raitre... E chi se ne importa se trasmissioni come "La Melevisione" e "Trebisonda" e anche il "Tg dei ragazzi" sono considerate di eccellenza nel panorama europeo. Alla denuncia la Rai ha replicato: non si cancella, si manda sul digitale terrestre. Ovvero, una programmazione affogata tra altri 21 canali per bambini e ragazzi - tra digitali e satellitari - zeppi di cartoon affastellati. Ma se sotto ci fosse dell'altro?
Ne ho scritto per "ilsalvagente.it", vi propongo l'articolo:



La Rai ha messo una pietra tombale sulla vicenda “tv dei ragazzi”: “Non chiude”. Anzi, di meglio e di più: “Con il digitale terrestre - dice - ci saranno nuovi investimenti e un'offerta più mirata e organica, proprio avvalendosi delle esperienze e delle professionalità costruite in questi anni”.

Ma si sa come sono fatti i ragazzi: quando parli di pietre tombali pensano subito agli zombi che ne escono fuori; e loro - i ragazzi - si divertono un sacco. E partono a caccia di amici mostri...

Stiamo ai fatti. La produzione Rai si impoverisce di giorno in giorno (anche l'offerta, ma questo è un altro discorso). L'abolizione d'ufficio degli spazi dedicati ai bambini sui canali generalisti è solo l'ultimo atto che sancisce, se non altro, un po' di cose: che alla tv pubblica non interessano gli under 14 (cattivi consumatori?); che i direttori di rete non contano più niente; che i canali generalisti della Rai che vediamo, dal mattino alla sera, non sono prodotti dalla Rai. Che ci volete fare se i ragazzi vedono strane ombre staccarsi dai muri, allungando gli artigli sulla loro tv...

Quanti anni sono che la vecchia scuola dei dirigenti Rai grida “al lupo, al lupo” perché vede scivolare fuori dai palazzi della tv pubblica, una dopo l'altra, le produzioni di fiction, talk show, varietà, intrattenimento? Inascoltati: ormai di “contenuti autoprodotti” alla tv pubblica sono rimasti solo quelli per i bambini e poco d'altro. La “nuova scuola” appalta. Tutto.

La fiction non è più da molto tempo quella degli sceneggiati Rai: ora ci sono “Don Matteo” e “Pinocchio” prodotti dalla Lux Vide di Bernabei, “Un posto al sole” prodotto dalla Grundy e “Montalbano” della Palomar di Carlo degli Esposti. I grandi produttori non sono molti e fanno la parte del leone, lavorando in modo assolutamente trasversale su Rai, Mediaset, la 7 e Sky.

Uno dei più “grossi” è Endemol. Nel 2007, anno in cui la società è stata acquistata al 75% da Berlusconi, produceva 735 ore di programmi per la Rai. E continua a produrle: “Affari tuoi”, “La prova del cuoco”, “Tutti pazzi per la tele”, “Il treno dei desideri”, “La fattoria”, “Un posto al sole”. Ma anche “Che tempo che fa” e “L'era glaciale”, per citare un po' di titoli. Paradossi televisivi. Alla guida di Endemol ci sono Paolo e Marco Bassetti (il marito di Stefania Craxi, con la quale aveva iniziato l'avventura di produzione televisiva). Né le polemiche sul “conflitto di interessi” del padrone di Mediaset trasformato in produttore Rai hanno scalfito i rapporti tra la società di produzione e la tv pubblica.

Non c'è recesso di produzione in cui non si affacci l'appalto. Varietà. Intrattenimento. Quiz. Fiction. Soap opera. Persino i talk show... Resta giusto l'informazione e i bambini... I bambini...

La Grundy Italia (quella di “X factor”, per intederci) si è già lanciata con successo nella produzione per bambini. Il suo “Quelli dell'intervallo”, mandato in onda inizialmente da Disney Channel (2005), poi da Raidue (2007), poi da Italia 1 (2009), è un successo internazionale, adattato in diversi Paesi. Ora di nuovo su Disney Channel sta andando in onda un'altra serie interessante, “Chiamatemi Giò”, che la Grundy produce insieme... a Rai fiction. Toh! La Rai – stando a quanto si legge sui siti specializzati – si presenta come co-produttore per un'altra tv?

Tornano nelle orecchie quelle parole del comunicato di viale Mazzini: la Rai farà “nuovi investimenti e un'offerta più mirata e organica”. Che significa? Tutto e niente. Chi la studierà l'offerta “mirata e organica” se l' attuale responsabile della tv per bambini, Mussi Bollini, di abbandonare i piccoli telespettatori della tv generalista sembra non ne abbia davvero nessuna voglia? Chi la scriverà questa “nuova tv” se gli autori di “Trebisonda” e della “Melevisione” non ne sanno niente? E allora non c'è molto di strano a pensare che negli Studi Rai di Torino, dove si produce la tv per ragazzi, si possa affacciare uno zombie. L'appaltatore.

sabato 20 febbraio 2010

Dove porta la precarietà

Ha usato un foglio delle consegne, non sarebbe servito più a niente. Dietro, nella parte bianca, ha scritto “scusa mamma”. E si è ucciso. A 28 anni. Nell'età in cui non si riesce ancora a trovare uno straccio di lavoro, lui già lo stava perdendo, perché la sua cooperativa non aveva più commesse. Si imballavano i macchinari, finiva così.

La tragedia di Vinovo, alle porte di Torino, in quell'azienda di nove persone (soci, amici), ha un'epica ferocia: un ragazzo che invoca la madre per l'ultima volta, nel momento in cui si arrende alla paura. Paura di non lavorare. Paura che stringe il cuore, non lascia immaginare futuro.
Eccola, brutale, infame, la “grande crisi” del Piemonte, con la disoccupazione che nel 2009 schizza a “più 40 per cento”, con le occasioni di lavoro ai Centri per l'impiego calate di centomila unità. L'Osservatorio regionale li aveva diffusi appena da qualche giorno quei dati, ai primi di febbraio: Torino e il Nord Ovest con la disoccupazione che tra i giovani arriva al 19%, mentre la media del Nord del Paese è intorno al 5,5%.

Torino dove sono le piccole imprese a non farcela, quelle come la cooperativa a cui la danese Carlsberg – cliente unico - aveva tolto l'appalto da installatore di spillatori di birra, scegliendo di passarla alla multinazionale Coca Cola. E come potrebbe la “Tecnodrink” di Vinovo competere con la Coca Cola? La grande industria stringe le fila, affronta il momento di crisi mondiale affilando le armi della concorrenza, fa terra bruciata intorno. Il 77,5% dei disoccupati nelle liste di mobilità in Piemonte arriva dalle piccole imprese. Non ci sono neppure gli ammortizzatori sociali per una azienda delle dimensioni della “Tecnodrink”, non fosse per la Regione che interviene in prima persona, per quattro mesi assicura una cassa integrazione.

L'occupazione in Piemonte nel 2009 si è “ridotta di 20mila addetti”, dicono i dati ufficiali: ventimila persone, ventimila famiglie, ventimila storie. 182 milioni di ore di cassa integrazione in un solo anno, in una regione di 4milioni e 200mila abitanti significa che la “grande crisi” è sotto casa, dentro casa. E quell'ultimo biglietto di scuse di un ragazzo che non ce l'ha fatta ad affrontare questa battaglia, fa venire le lacrime agli occhi. Anche di rabbia.

da www.radioarticolo1.it

venerdì 19 febbraio 2010

La media del pollo

I “saldi” vanno male. I giornali hanno accolto la notizia con sorpresa. I dati Adusbef e Federconsumatori, dopo un mese di vendite a prezzi scontati, parlano di un “meno 11%” rispetto allo scorso anno: hanno sbagliato anche loro, perché dopo il crollo dei consumi nel periodo natalizio avevano previsto che la gente si sarebbe “rifatta” coi saldi. Invece quella gente si è limitata alle spese necessarie e programmate, anche se i negozi sparano in vetrina sconti del 30, del 50, persino del 70 per cento.

I telegiornali non ci avevano risparmiato l'euforia del primo week-end di saldi, servizi da Roma, Torino, Milano, Napoli, uno “struscio” di persone di tutte le età, con pacchetti e pacchettini, per le vie dello shopping. Evviva: la ripresa dei consumi, l'Italia che va!

Poi, telecamere spente. Ora quello che fa un po' rabbia è la sorpresa generale dei media per il mancato “evento”. Eppure che erano “saldi a doppia velocità” lo si è visto fin dall'inizio. E lo si poteva raccontare fin dall'inizio, anche senza dati ufficiali a consuntivo.

Bastava far due passi in centro per vedere che i turisti prendevano d'assalto i negozi Grandi Firme, approfittando degli sconti, e che i negozi più “in”, quelli dove serve uno stipendio per comprare una maglietta a prezzo dimezzato, facevano affari d'oro.

E poi bastava passare a bordo di un bus per le strade commerciali per vedere, invece, una lunga fila di commessi appoggiati alle porte dei negozi, annoiati, a fumare una sigaretta, a guardare i passanti che passavano veloci davanti alle vetrine. Senza farsi attrarre dalle etichette ribassate.

Previsione facile-facile: i negozi lusso, clientela selezionata con stock option e dividendi azionari, sono andati a gonfie vele. I negozi sotto casa, no.

Anche quando si parla di saldi bisogna fare la “media del pollo”, quella di Trilussa:

“Me spiego: da li conti che se fanno/
seconno le statistiche d’adesso/
risurta che te tocca un pollo all’anno:/
e, se nun entra ne le spese tue,/
t’entra ne la statistica lo stesso/
perché c’è un antro che se ne magna due”.



(Scritto per www.radioarticolo1.it)

mercoledì 17 febbraio 2010

I lupi di Vauro

Quelle risate continuano a risuonare lugubri in tutta Italia, ma all'Aquila, tra chi ha perso i figli, i genitori, gli amici, lo scherno ha un che di diabolico. Le risate di Francesco Maria De Vito Piscicelli e di suo cognato, Pierfrancesco Gagliardi, imprenditori edili legati alla “Protezione Civile spa”, che il 6 aprile dell'anno scorso, mentre le tv e le radio e i siti internet diffondevano le notizie dall'Abruzzo martoriato dal sisma, al telefono si dicevano occupati di sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito...non è che c’è un terremoto al giorno”.

Occuparsene per fare soldi, tanti soldi. Sciacalli. Sciacalli veri, non come i disgraziati che ad Haiti rubano nei supermarket per non morire di fame, e invece muoiono per una scatoletta rubata, uccisi da vigilantes che non si fanno scrupoli. Signori sciacalli, con lo yacht in Sardegna, che ridevano mentre nei paesi devastati la gente scavava a mani nude per cercare gli amici, i vicini di casa, sperava nel miracolo in mezzo all'orrore.

Dice Piscicelli al telefono: “...eh certo...io ridevo stamattina alle 3 e mezzo dentro il letto”. E l'altro: “...io pure...”. Che faccia avrà fatto il “maresciallo” che faceva l'intercettazione e che ha sentito per primo quelle parole? Perché c'è da provar vergogna nel solo sentirle... Stefano l'altro giorno, alla manifestazione a L'Aquila, la rabbia per quelle frasi se l'è scritta addosso, sulla maglietta: “Alle 3 e 32 io non ridevo”. Non c'è mica bisogno di aggiungere altro.

E allora tornano in mente anche altre storie di un anno fa, quando eravamo a mollo in una ipocrisia pelosa: e quando Vauro venne allontanato dalla Rai perché aveva disegnato un povero cristo che portava la sua croce nel terremoto. Quale fu la vignetta che fece scattare la censura? Quella in cui diceva: “C'è chi scava per seppellire le vittime. E chi scava per seppellire le responsabilità”. O forse quell'altra: “Gli sciacalli si aggirano tra le macerie. I lupi invece aspettano gli appalti della ricostruzione”. Certo, la satira aiuta a pensare...

lunedì 15 febbraio 2010

Le Mamme (disoccupate) d'Italia

Le mamme italiane sono famose nel mondo come iper-protettrici, con i piccoli attaccati alla gonnella: fatto sta che quando una donna in Italia decide di “metter su famiglia” il lavoro di cura familiare ha la meglio su ogni altra attività. E il numero delle mamme ufficialmente “inoccupate”, tagliate fuori dal mondo del lavoro (ma in realtà travolte dall'impegno domestico, tra pannolini, pappette e letti da rifare), cresce inesorabilmente con l'aumentare del numero dei figli: numeri da record (negativo) rispetto alla realtà europea, soprattutto quando la famiglia diventa numerosa. Basti pensare che se in Olanda 70 mamme su cento con tre o più figli continua a lavorare (e in Francia sono comunque 52 su cento), da noi non più di 42 mamme su cento riescono ad avere “anche” un'altra occupazione, oltre alla cura della propria numerosa famiglia!

Perché? Sono veri tutti i luoghi comuni che perseguitano le donne italiane, “mammone” per antonomasia? O c'è dell'altro...

Secondo i dati forniti al Senato dalla vicepresidente dell'Istat, Linda Sabbadini, è quello che non c'è a inchiodare le mamme d'Italia tra le mura domestiche. Se devono (o vogliono) lavorare, nonostante la prole, o vengono in soccorso i nonni o son dolori. Addirittura il 70% dei bambini tra i 3 e i 5 viene affidato ai nonni: e comunque anche quando i figli sono più grandicelli e vanno a scuola, sono sempre i nonni a dover intervenire (nel 65% dei casi), per accompagnarli e seguirli.

Ci sono anche i sogni in fumo nelle indagini dell'Istat, che ha scoperto come sia frustrato nelle donne (e nelle coppie) il desiderio di metter su famiglia: più della metà non riesce ad avere i figli che desidera. O il lavoro o i bambini. Come sempre, chi più facilmente realizza i propri progetti appartiene alla classe agiata. E' più difficile per le operaie, che spesso si devono rifugiare nel part-time per conciliare casa e lavoro; praticamente impossibile per le precarie, a meno di rinunciare all'occupazione, uscire persino dalle liste di disoccupazione e andare a ingrossare le fila delle “inattive”.

Un Paese che si rammarica della bassa natalità, almeno per questo, dovrebbe cercare di darsi regole che aiutino le donne e le famiglie. Un welfare in grado di sostenere – economicamente e praticamente – il lavoro delle donne, garantendo anche una rete di servizi che parta dai “nidi” per i più piccoli, considerati oggi “troppo cari”, “troppo lontani”, “troppo scomodi negli orari” da oltre il 20% delle famiglie che non li hanno iscritti. Per non parlare di quel 5% che denuncia: “non me lo hanno accettato”.

domenica 14 febbraio 2010

ANCORA SUI BAVAGLI TV

“Ho letto il tuo post sul “bavaglio elettorale”, per la chiusura di Annozero e Ballarò sotto elezioni. Poi ho anche sentito Emma Bonino, ospite ad Annozero, che non vedeva scandalo in quella decisione perché apre spazi di prima serata ai partiti minori, che altrimenti non hanno voce in tv. Una bella contraddizione.
Franca”
.

La mail che mi è arrivata da Franca merita, credo, qualcosa di più che la risposta in un post.
Lo dico subito: non sono d'accordo con Emma Bonino. Spegnere voci di informazione è atto gravemente illiberale, sempre, in particolare sotto elezioni. E aggiungo: questo non toglie nulla al mio sostegno a Emma Bonino Presidente. I punti dell'accordo elettorale tra la Federazione della Sinistra e Emma Bonino sono di fondamentale importanza per la nostra Regione, per i suoi lavoratori, per il suo territorio. La Bonino è il nostro argine a una destra palazzinara e arrogante, che in queste ore sta mostrando la sua faccia nella corruzione dilagante.

Tutto questo premesso, vengo alle ragioni di Emma Bonino, quando denuncia che i partiti “piccoli” spariscono dalla tv, che nei talk show ci sono sempre le solite facce, il solito salotto buono della politica. Ha ragione. In un Paese dove la presenza mediatica è certificazione di esistenza in vita, non avere possibilità di dire le proprie ragioni in tv significa essere “cancellati”, emarginati. Ma il circo dei “soliti noti” è insopportabile, credo, anche per i telespettatori.

Ha ragione la Bonino anche quando dice che le Tribune politiche alle 2 del pomeriggio o a mezzanotte sono una farsa. E' vero. Quelle sono le ore dei cartoni animati o degli insonni, ai quali la mattina dopo non suona la sveglia. Ma anche le Tribune politiche non sono certo luoghi di confronto, ridotte come sono a pochi secondi di slogan urlati. Un partito via l'altro, come una catena di montaggio. Fanno rimpiangere le vecchie (noiose) Tribune degli anni Sessanta,

La questione è che il Parlamento non può fare spazio alla politica cassando l'informazione.
Il Parlamento (la Commissione di Vigilanza) può definire che la Rai deve trovare spazi per la politica in prima serata: al posto di un film, di un telefilm, di un varietà, di un quiz, anche di una puntata (una) di un programma di informazione. Ci pensassero i programmisti Rai: i parlamentari non si possono trasformare in funzionari del palinsesto tv...

Non si può barattare informazione e politica.

In televisione c'è spazio per tutto e per tutti, a volerlo trovare. Anche senza la moltiplicazione algebrica del digitale terrestre. Io ho sempre difeso a spada tratta persino le trasmissioni di Antonio Socci dalle voglie di censura. L'ho criticato, anche aspramente, ma sempre considerando che “la tua libertà è la mia libertà” (in questo caso, di critica). E tanto più difendo la mia – la nostra - libertà di avere (e di fare) informazione.

Decidere da San Macuto cosa si deve fare a Saxa Rubra è un bavaglio alla libertà di informazione (o meglio: a quel che resta dell'informazione Rai), che non s'era mai visto prima. Del resto, a chi fa comodo lo si è capito subito, con Berlusconi soddisfatto per la chiusura dei “pollai”.

Per quel che mi riguarda, poi, non sono una che ha timori a dire dei “no”.
Ero caporedattore dell'Unità quando nel 2000 manifestavamo sotto Botteghe Oscure contro la chiusura del giornale del partito.
Ero Segretario dell'Associazione Stampa Romana quando i giornalisti scioperavano contro il Governo Prodi che stava varando la legge sulle intercettazioni: ed era un Governo “amico”.
Se ora i giornalisti Rai dovranno arrivare allo sciopero, sarò con loro.

sabato 13 febbraio 2010

LAVORO, COSA DA DONNE

"Se c'è una cosa insopportabile è che questioni come "parità", "gap gender", "lavoro di cura", a volte persino "part-time" vengano considerati "cose da donne": per dibattiti tra donne, convegni tra donne, proposte di legge di donne. Che magari diventano legge, ma poi restano in un cassetto. Le carriere delle donne vanno al rallentatore: frenate dalle maternità, dal lavoro di cura familiare, più semplicemente dal pregiudizio. Quindi, a uguale mansione, livelli retributivi diversi. Non solo: per star dietro ai figli (e agli anziani) le donne fanno ricorso al part-time molto più di quanto non facciano gli uomini (nella pubblica amministrazione l'85% del cento dei lavoratori a part time è donna). O, più semplicemente, le donne vengono assunte part-time, senza possibilità di scelta. E in tempi di crisi, quando le prime a perdere il lavoro sono le donne, questa è da considerare senz'altro una delle emergenze-lavoro. Per la società, non per le donne!

Vi propongo un articolo che ho scritto lo scorso novembre in occasione della presentazione di una ricerca delle Consigliere regionali di Parità sul lavoro femminile nel Lazio. Dati che, messi uno in fila all'altro, fan venire l'amaro in bocca. Ma non è vero che non c'è via d'uscita: in Toscana, per esempio, c'è una legislazione avanzata su questi temi, di supporto al lavoro e alle carriere delle donne. Dopotutto... basta copiare!



Foto di gruppo alle donne che lavorano a Roma e nel Lazio. Hanno studiato, sono brave e capaci nella professione, ma sono più precarie dei colleghi maschi e sono pagate meno. Molto meno. E questa volta a dirlo non sono “le solite femministe”, ma pile di documenti ufficiali, di rapporti compilati dai direttori del personale delle aziende medio-grandi della regione, cifra su cifra. E' infatti dai dati inviati all'Agenzia regionale del Lavoro da quasi 500 aziende, così come prescrive la legge, che emerge per la prima volta in modo ufficiale il quadro dell'occupazione femminile della regione: si tratta dell'identikit di 81.458 donne (ovvero il 34,2% dell'intera popolazione di lavoratori di aziende con più di cento dipendenti), e si scopre che solo l'1,3 % fra loro ha ruoli dirigenti, poco più del 10% è un “quadro” aziendale, e la stragrande maggioranza (oltre il 70%) sono impiegate, mentre solo il 16,4% sono operaie. Comunque sia, qualunque sia il loro impegno in azienda, a parità di lavoro guadagnano meno dei colleghi maschi, perché hanno inquadramenti più bassi o contratti atipici: basti pensare che un'operaia di Viterbo ha una busta paga “tagliata” in media del 65% rispetto ai colleghi (soprattutto a causa della diffusione del part-time, per la cura della famiglia o per esigenze aziendali), o che a Roma un'impiegata percepisce il 23% in meno e un'operaia il 31,3% in meno. Nella Capitale – dove è concentrato il 60% delle lavoratrici della regione - va un po' meglio alle dirigenti, con gli stipendi che registrano “solo” un 3% in meno.
Eppure le donne sono preparate. Basta sfogliare i curriculum di quante, disoccupate, sono iscritte ai Centri per l'Impiego: solo a Frosinone (dove è stato compiuto questo tipo di indagine) le donne laureate sono circa 4.500, tre volte tanto rispetto agli uomini; e sono 17.760 le diplomate, contro 10.800 uomini.
I dati sul personale vengono forniti dalle aziende ogni due anni, e solo il prossimo aprile inizieranno ad arrivare quelli dell'ultimo biennio: “Nel Lazio, dove è sviluppato soprattutto il settore dei servizi, la crisi non è ancora arrivata come nelle aree del Nord, dove c'è la sofferenza del comparto manifatturiero, e la situazione occupazionale da noi non ha ancora sofferto grandi cambiamenti – spiega Alida Castelli, Consigliera di Parità della Regione Lazio, ufficio che ha promosso una giornata di studi sul “Rapporto sul lavoro delle donne nel Lazio” -. Ma la particolarità della nostra regione, dove la maggioranza delle aziende opera nel terziario, è un maggiore ricorso ai contratti atipici: da quelli a tempo determinato fino ai nuovi strumenti, come il vaucher, che solo in Italia è utilizzato come vero e proprio stipendio. E' un precariato che risentirà prima la crisi, e che è soprattutto femminile”.

venerdì 12 febbraio 2010

Mafia e tv

“La mafia italiana è tutto. Politica…Cervello… Sono persone intelligenti, molto, molto… Hanno tutto, palazzi, città”. Non è una intercettazione telefonica. Non è la scena di un film. E’ l’apologia della mafia fatta da due concorrenti italiani del Grande Fratello nella “trasferta” spagnola al “Gran Hermano”. Scambi culturali tra Canale 5 e Telecinco in diretta televisiva.
Sono le 2 e 45 di notte del 6 gennaio. Massimo Scattarella (quello buttato fuori dal Grande Fratello per una bestemmia, per la quale si è scusato in modo strappalacrime) e Carmela Gualtieri da Aci Trezza (Catania), stravaccati sulle poltrone conversano con due “colleghi” spagnoli. Tutti usano un linguaggio semplice, per comprendersi. La gestualità fa il resto. Come quando la siciliana Carmela esalta “Il capo dei capi”, “The boss of the boss”, e annuisce per essere sicura che l’abbiano capita bene.
Ma è Scattarella, “body builder e bodyguard, rasato con gli occhi azzurri, 5 tatuaggi di cui due bracciali maori”, come dice la sua scheda al GF, a guidare la conversazione: “La mafia italiana è più della famiglia. E’ cuore”. E’ ok, dice con il pollice alzato, molto all’american boy. Massimo e Carmela esaltano il ruolo della mafia italiana, che non teme concorrenza: “Quella messicana è droga… mafia di strada”. Quella italiana no: è politica, potere, denaro. Gli spagnoli annuiscono: “Voi avete la versione originale”, dicono. Come il brandy.
Fa veramente impressione il video caricato su Youtube (titolo: “Arturo: confirma la relation de Tati con la mafia”). Un pugno di minuti che sono un pugno allo stomaco. E’ stato caricato su internet un mese fa, praticamente “a caldo”. Il primo commento – sdegnato – è in spagnolo: “Que asco de individua. Come pueden tener esta gente en un programa de la tele” ( “Che individuo disgustoso, come possono tenere questa gente in un programma tv?”). In spagnolo le scuse di una italiana (evidentemente abitante in Spagna), che dichiara di vergognarsi per quest’uomo che parla di mafia “come se fosse un orgoglio”. Poi più nulla.
Ma internet non ha frontiere. E l’altra notte gli internauti italiani sono “capitati” su quel filmato. Forse era qualcuno che voleva qualche pettegolezzo sulla storia della figuraccia di “Massimo” in terra di Spagna, pubbliche misurazioni di membra maschili, dopo un servizio particolarmente insulso delle Iene su Italia 1. Perché Massimo Gualtieri è personaggio molto “discusso” in tv (se ne parla in continuazione), bestemmie e machismo, saune prese a testate, la partecipazione al Grande Fratello perché “è un treno che passa e non voglio perderlo”. Di cose di mafia, però, non ne ha mai fatto cenno nessuno. Fino a ieri. Il passaparola è stato istantaneo. Come lo sdegno, profondo, vero.
Massimo Scattarella che nelle interviste rilasciate a mezzo mondo dice: “Ho sbagliato e ho pagato, ma non ricordatemi per una bestemmia”, fa rabbia. E’ stato espulso dal GF, Valeria Marcuzzi ha mostrato tutte le lacrime che sono versate nella “casa” italiana per l’allontanamento del “pitbull pugliese”, si è parlato a iosa delle sue scorribande spagnole, nessuno mai ha accennato a quella conversazione notturna nella “casa” spagnola. L’apologia di mafia non è cosa da espulsione, è solo da ramazzare in fretta sotto il tappeto.

L'Unità 12 febbraio 2010

giovedì 11 febbraio 2010

Un bavaglio al pollaio

Berlusconi definisce un “pollaio” trasmissioni come “Ballarò” o “Annozero”. Parole insultanti e liquidatorie. Un messaggio senza possibilità di replica a tutti quelli che nel centrodestra hanno sussultato alla notizia della chiusura di tutta l'informazione di approfondimento Rai in periodo elettorale: nessuno si muova! Un modo sbrigativo per togliere dallo schermo le voci scomode, che anche con i lacci della par condicio elettorale rischiano di disturbare il manovratore.
Ecco l'articolo che ho scritto su “Dnews” di oggi (free-press diretta da Antonio e Gianni Cipriani, distribuita a Roma, Milano, Bergamo e Verona) sulla quale ho una rubrica di critica televisiva.
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“Lo hanno subito ribattezzato “bavaglio elettorale”: è la prima volta, in assoluto, che il Parlamento decide che la Rai debba chiudere i programmi di approfondimento giornalistico sotto elezioni. Dal 28 febbraio non andranno più in onda, per un mese, “Ballarò”, “Annozero”, “In mezz'ora” e tutte le trasmissioni (soprattutto su Raitre) che affrontano i temi sociali e politici del nostro Paese. Un mese di black-out. Non si parlerà di mafia. Di privatizzazione dell'acqua. Di crisi economica. Di aziende che chiudono. Non si parlerà più di nulla.
L'unico che forse se la cava è Bruno Vespa, perché il suo “Porta a porta” ospita indifferentemente ministri o scene del delitto, veline o cantanti: i talk show di spettacolo sono ammessi. Nessuno toccherà le risse pomeridiane.
Tutte le volte che si arriva sotto elezioni si leva la protesta dei giornalisti per una legge che, in nome della par condicio, impedisce di fatto di parlare delle cose d'Italia, perché il calcolo dei minutaggi di presenza in video dei parlamentari (onnipresente) diventa ossessiva, la spartizione degli spazi maniacale, e Giovanni Floris, Michele Santoro, Lucia Annunziata e gli altri devono completamente cambiare registro ai programmi. Questa volta, addirittura, la Commissione di vigilanza, su proposta del radicale Marco Beltrandi e coi voti del centrodestra (Udc astenuta, il Pd uscito dall'aula), ha decretato lo “Stop”. Se vogliono continuare a lavorare Floris, Santoro, Annunziata & C. nei loro spazi dovranno ospitare delle tribune elettorali. Sai che divertimento. Ovviamente queste regole valgono solo per la Rai. Sulle trasmissioni delle tv private non vigila il Parlamento, ma l'Autorità per le telecomunicazioni: difficile che chiuda trasmissioni. E infatti Floris, l'altra sera, a chiusura di “Ballarò", ha chiosato: “A marzo starò a casa a guardare Canale 5”.

mercoledì 10 febbraio 2010

Mi presento













Sono Silvia Garambois, candidata per le elezioni del Consiglio regionale del Lazio con la Federazione della Sinistra (Prc, Pdci, Socialismo 2000, Lavoro-solidarietà, oltre a Associazioni e indipendenti di sinistra), lista che sostiene Emma Bonino Presidente.

Mi presento. Ho quasi 55 anni, nata a Torino ma romana di adozione, faccio la giornalista free lance. Non è una scelta: anche nei giornali la nuova “normalità” è il precariato.

Ho passato la vita tra informazione, politica e sindacato: sono entrata all'Unità che ero una ragazzina, quando i giornalisti erano anche funzionari di partito. Ci sono rimasta 25 anni esatti: ero caporedattore e segretaria di redazione quando nel luglio del 2000 la vecchia Unità ha chiuso i battenti. Ora collaboro ancora con l'Unità, scrivo critiche televisive sulla free-press “Dnews”, editoriali sui temi del lavoro sul sito della Cgil www.radioarticolo1.it, racconto l'attualità ai bambini sulla free press per le scuole elementari di Roma “Il Colosseo”, scrivo sui problemi dei giornali e della tv su una testata dedicata a informazione e ambiente, “Cometa”...

Le questioni che mi coinvolgono maggiormente, insieme ai problemi della libera informazione, sono quelle legate al lavoro e alle donne.

Sono stata – e sono – sindacalista: mi sono occupata dei problemi dei miei colleghi come Consigliere nazionale della Federazione della Stampa (dal 1997 al 2007) e soprattutto per due mandati eletta Segretario dell'Associazione stampa romana, cioé del sindacato dei giornalisti del Lazio (2001-2007).
Ora sono Consigliere d'amministrazione dell'Inpgi, che è l'istituto di previdenza dei giornalisti. E (dal '97) faccio parte della Commissione Pari Opportunità della Federazione della Stampa.

La fatica del lavoro delle donne, per mille ragioni, mi ha sempre particolarmente coinvolta: sempre le più svantaggiate. Anche in politica, anche nel sindacato, la disparità è spesso offensiva.

La mia storia ha radici nella tradizione di sinistra della mia famiglia, nei valori di un padre partigiano nella Val di Lanzo, medaglia al valore della Resistenza. Mi sono iscritta al Pci a ventanni, nel 1975; sono stata iscritta al Pds fino al 1997, poi non ho più voluto tessere, nonostante quella continuasse ad essere la mia storia. Con Cesare Salvi (con il quale avevo collaborato come Capoufficio stampa quando era Ministro del Lavoro, e poi ancora in seguito, al Senato) e con Fabio Mussi (che era stato mio direttore all'Unità) ho condiviso lo “strappo” alla nascita del Pd, e ho aderito alla scelta politica di Sinistra Democratica per il Socialismo europeo. Ed è nel solco di quella stessa scelta che oggi sono nel Consiglio nazionale di Socialismo 2000, l'Associazione presieduta da Salvi, che insieme al Partito della Rifondazione Comunista di Paolo Ferrero e ai Comunisti italiani di Oliviero Diliberto ha dato vita alla Federazione della Sinistra.

Sono convinta che solo l'unità delle forze della sinistra, superando le divisioni che negli anni hanno portato alla frantumazione della Sinistra italiana, potrà ridare voce e forza di Governo, negli enti locali e in Italia, a chi ha a cuore insieme agli interessi del Paese anche quelli della povera gente, dei lavoratori, delle donne, a chi pensa al futuro dei giovani. E credo che la Federazione, della quale sono consigliere nazionale, sia la strada giusta.

Ora vorrei portare questo mio bagaglio di vita come contributo al governo della Regione in cui sono nati i miei figli: per il lavoro buono per tutti, per le donne, per le famiglie... Per questo ho accettato, con voglia di fare, questa candidatura.